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80 Margaret Atwood - Il Racconto Dell_Ancella (Ita Libro)

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antoli, un suono basso e continuo come un gorgoglio, grida, i corpi rossi<br />

ruzzolano uno sull'altro e non distinguono altro, lui è sommerso da braccia,<br />

pugni, piedi. Si leva un urlo acutissimo, come di un cavallo terrorizzato.<br />

Mi tengo indietro, cerco di reggermi in piedi. Qualcosa mi colpisce alla<br />

schiena. Sto per cadere. Quando riprendo l'equilibrio e mi guardo intorno,<br />

vedo le Mogli e le figlie che si sporgono in avanti sulle loro sedie, le Zie<br />

sul palco che guardano giù con interesse.<br />

Avranno sicuramente una vista migliore dall'alto.<br />

Lui non è più un essere umano ma una massa inerte.<br />

Diglen è tornata accanto a me. <strong>Il</strong> viso teso, senza espressione.<br />

«Ho visto quello che hai fatto» le dico. Sono rientrata in me stessa, comincio<br />

di nuovo a provare delle sensazioni: disgusto, nausea, orrore per<br />

quella barbarie. «Perché? Proprio tu... Credevo che...»<br />

«Non guardarmi» dice. «Ci stanno osservando».<br />

«Non m'importa» rispondo. Sto parlando a voce alta, non posso farne a<br />

meno.<br />

«Controllati» dice Diglen. Finge di allontanarmi e ne approfitta per nascondersi<br />

il viso e bisbigliarmi all'orecchio: «Non essere stupida. Non aveva<br />

stuprato nessuno, era un politico. Uno dei nostri. L'ho ucciso a calci. Gli<br />

ho risparmiato altre sofferenze. Non sai che cosa gli stavano per fare?»<br />

Uno dei nostri, penso. Un Custode. Sembra impossibile.<br />

Zia Lydia soffia di nuovo nel suo fischietto, ma loro non si fermano subito.<br />

I due Custodi intervengono, spingendo via le ultime rimaste. Alcune<br />

giacciono sull'erba dove sono state spinte e colpite per sbaglio. Qualcuna è<br />

svenuta. Altre si disperdono, a due e a tre o sole. Sembrano intontite.<br />

«Cercate le vostre compagne e rimettetevi in fila» dice Zia Lydia al microfono.<br />

Poche le prestano attenzione. Una donna viene verso di noi,<br />

camminando come se tastasse il terreno, un passo dopo l'altro, nel buio. È<br />

Janine. Ha del sangue su una guancia, e ancora di più sulla sua cuffia bianca.<br />

Sorride, un piccolo sorriso soddisfatto. Ha lo sguardo assente.<br />

«Ehi, voi» dice: «Come va?» Nella mano destra stringe un ciuffo di capelli<br />

biondi. Fa una risatina.<br />

«Janine» dico. Ma ormai è persa, è un corpo in caduta libera, è completamente<br />

avulsa dalla realtà.<br />

«Buona giornata» dice, e si avvia al cancello.<br />

La guardo andarsene e penso: anche questa è una fuga. Dovrei provare<br />

pena per lei, ma non ci riesco. Provo rabbia. Non è che me ne vanti, né di<br />

questo, né di altro. E l'importante è tutto qui.

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