Letteratura italiana: dalle Origini alla morte di ... - Claudio Giunta
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chiamato nei manoscritti antichi e da Dante nella Comme<strong>di</strong>a, spicca tra gli altri membri della corte<br />
federiciana per maturità <strong>di</strong> stile e forza inventiva. Al suo nome sono legate tutte le conquiste formali<br />
che la poesia siciliana consegna <strong>alla</strong> nostra letteratura. Se non l’inventore, egli è certo uno dei primi<br />
frequentatori del sonetto, genere metrico che nel suo canzoniere ha un peso percentuale<br />
paragonabile solo a quello che gli verrà concesso dai rimatori toscani una o due generazioni più<br />
tar<strong>di</strong>. All’invenzione del sonetto si lega quella del genere che <strong>di</strong> quel metro sfrutta al meglio la<br />
duttilità: la tenzone. In due delle poche tenzoni siciliane che ci sono pervenute Giacomo occupa una<br />
posizione <strong>di</strong> rilievo: nell’una è chiamato a «determinare» (tale quale la determinatio della quaestio<br />
scolastica) un quesito proposto, a lui e a Pier delle Vigne, in un sonetto <strong>di</strong> Jacopo Mostacci sulla<br />
natura d’amore: se esso sia sostanza o accidente. Nell’altra sostiene un doppio botta e risposta con<br />
l’Abate <strong>di</strong> Tivoli - un rimatore della cerchia federiciana attestato solo in questa tenzone - con<br />
reciproche accuse <strong>di</strong> simulazione in fatto <strong>di</strong> sentimenti e <strong>di</strong> ingenuità e rozzezza nella teoria<br />
d’amore.<br />
[Temi, motivi, stile] Nel canzoniere <strong>di</strong> Giacomo da Lentini troviamo riuniti tutti i temi, i<br />
motivi, le soluzioni formali che ebbero corso tra i poeti siciliani. Il paradosso<br />
dell’incomunicabilità, per cui il poeta non può manifestare il suo amore se non svilendo sé e la<br />
donna, trova in lui la formulazione più esplicita: «Amor non vole ch’io clami | merzede c’onn’omo<br />
clama, | né che io m’avanti c’ami, | c’ogn’omo s’avanta c’ama» (‘Amore non vuole che chieda<br />
pietà, come fanno tutti gli altri, né che mi vanti del mio amore, dato che tutti quanti se ne vantano’).<br />
E lo stesso può <strong>di</strong>rsi per il motivo poi stilnovista dell’ineffabilità del sentimento: «Lo meo<br />
’namoramento | non pò parire in detto» (‘Il mio amore non può essere espresso con parole’); o per<br />
quello della lontananza: «Non vo’ più soferenza, | né <strong>di</strong>morare oimai | senza madonna, <strong>di</strong> cui moro<br />
stando» (‘Non voglio più soffrire, né stare lontano d<strong>alla</strong> mia donna, perché ne muoio’). Il Notaro è<br />
inoltre l’iniziatore <strong>di</strong> una tra<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> poesia formalmente complessa e ‘chiusa’ (trobar clus, come<br />
si definisce in provenzale) che avrà il suo culmine in Guittone d’Arezzo: i 176 versi del <strong>di</strong>scordo<br />
sono una buona palestra per questo genere <strong>di</strong> esercizi, e più ancora lo è la fitta rete <strong>di</strong> rime interne<br />
sulla quale vengono impostati certi sonetti (per es. quello sul viso dell’amata: «Eo viso e son <strong>di</strong>viso<br />
da lo viso» ‘Guardo ma sono lontano dal viso [dell’amata]’).<br />
[Guido delle Colonne: la poesia in volgare] Così come Giacomo da Lentini, anche Guido<br />
delle Colonne - giu<strong>di</strong>ce messinese e funzionario imperiale attestato tra il 1243 e il 1280 - viene<br />
citato da Dante nel De vulgari eloquentia come poeta insigne della scuola federiciana. Di lui ci<br />
restano cinque canzoni che sperimentano i due registri topici della poesia siciliana, quello euforico<br />
per l’amore raggiunto e la ‘merzede’ concessa d<strong>alla</strong> donna e quello simmetrico del ‘servizio’ non<br />
ripagato (si pensi all’analogia tra amante e vassallo cui s’è accennato in precedenza). Giustamente<br />
celebre è la canzone Ancor che l’aigua per lo foco lassi. Per quanto riguarda il contenuto, è una<br />
delle tante preghiere rivolte <strong>alla</strong> donna perché accolga finalmente il corteggiatore «che languisce e<br />
non può morire»; per quanto riguarda la forma dell’espressione, invece, è una sequenza <strong>di</strong> metafore<br />
naturalistiche (il ghiaccio, la neve, gli spiriti, la calamita) che, non usuali nel repertorio siciliano,<br />
preannunciano quelle canzoni tosco-emiliane in cui verrà dato ampio spazio alle metafore ricavate<br />
d<strong>alla</strong> scienza: su tutte, per importanza, il manifesto dello stilnuovo Al cor gentil, <strong>di</strong> Guinizzelli, e la<br />
canzone-trattato sulla natura d’amore <strong>di</strong> Cavalcanti, Donna me prega.<br />
[Guido delle Colonne: l’opera in latino] Rimatore in volgare e prosatore in latino (un doppio<br />
binario che in altro modo abbiamo già visto essere proprio <strong>di</strong> Pier delle Vigne), a Guido delle<br />
Colonne è attribuita la Historia destructionis Troiae: una traduzione, o meglio un libero<br />
rifacimento in latino del Roman de Troie, cronaca delle mitiche vicende troiane composta in<br />
francese, a metà del XII sec., da Benoît de Sainte-More. Caso più unico che raro <strong>di</strong> traduzione in<br />
latino <strong>di</strong> un modello volgare, l’Historia <strong>di</strong> Guido, che conobbe un’enorme fortuna durante tutto il<br />
Me<strong>di</strong>oevo, agì in profon<strong>di</strong>tà, anche attraverso i suoi volgarizzamenti trecenteschi, sulla formazione<br />
della nostra prosa romanzesca e storiografica.<br />
[Gli altri poeti della ‘scuola’ federiciana] Non più <strong>di</strong> una rapida menzione occorre infine per<br />
quelle che anche a causa <strong>di</strong> una tra<strong>di</strong>zione manoscritta particolarmente avara ci appaiono come<br />
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