Letteratura italiana: dalle Origini alla morte di ... - Claudio Giunta
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particolarmente delicato, mira anche a intervenire sull'attualità. Negli anni dell'esilio <strong>di</strong> Dante,<br />
infatti, il conflitto tra Chiesa e Impero era andato aggravandosi. L'alleanza fra il Papato e Roberto<br />
d'Angiò, che regnava sull'Italia meri<strong>di</strong>onale, aveva costretto sulla <strong>di</strong>fensiva prima l'imperatore<br />
Arrigo VII - che era <strong>di</strong>sceso in Italia nel 1312 nel tentativo, fallito, <strong>di</strong> riaffermare il suo potere sui<br />
comuni centro-settentrionali - poi i suoi successori, che il papa non aveva riconosciuto come ere<strong>di</strong><br />
legittimi dell'Impero. Schierarsi con l'imperatore significò dunque per Dante non solo affermare un<br />
principio <strong>di</strong> dottrina politica ma esprimere un chiaro giu<strong>di</strong>zio sulla realtà contemporanea.<br />
[Fortuna dell’opera] Ciò spiega la fortuna <strong>di</strong> cui l'opera godette negli anni subito successivi<br />
<strong>alla</strong> <strong>morte</strong> <strong>di</strong> Dante presso i seguaci dell'imperatore, e in generale presso i laici che si battevano per<br />
una netta <strong>di</strong>stinzione tra potere spirituale (da affidare al Papato) e potere temporale (da affidare<br />
all’Impero). E ciò spiega anche, d'altra parte, l'opposta reazione da parte ecclesiastica: la Monarchia<br />
fu aspramente confutata (tra gli altri dal domenicano Guido Vernani), condannata al rogo come<br />
opera eretica dal car<strong>di</strong>nal Bertrando del Poggetto e - sino alle soglie del Novecento - iscritta<br />
nell'In<strong>di</strong>ce dei libri proibiti.<br />
[Contenuto e struttura] La monarchia <strong>di</strong> cui parla Dante non è il regime monarchico nel suo<br />
significato generico e astratto bensì l'Impero. Il primo libro del De Monarchia risponde <strong>alla</strong><br />
domanda: è necessario l'Impero per il «buon or<strong>di</strong>namento del mondo» (I.iv.2), cioè per quella pace<br />
universale che Dante afferma essere il sommo bene per l'umanità? La risposta è affermativa: ma per<br />
argomentarla Dante deve procedere a una lunga serie <strong>di</strong> deduzioni logiche rafforzate <strong>dalle</strong> citazioni<br />
dei filosofi: Aristotele sopra tutti. Ma, prosegue Dante nel secondo libro, è giusto attribuire il potere<br />
imperiale al popolo romano, oppure hanno ragione coloro che glielo negano? La risposta è che<br />
l'Impero romano prevalse non grazie <strong>alla</strong> forza bensì grazie a un <strong>di</strong>segno provvidenziale. La ragione<br />
e la fede concordano dunque nell'assegnare a Roma il pieno <strong>di</strong>ritto sulle cose terrene. Il terzo<br />
quesito, nel terzo libro, è il più delicato perché riguarda <strong>di</strong>rettamente i rapporti tra il papa e<br />
l'imperatore. Dante si chiede se l'autorità del Monarca romano (ossia dell'imperatore) <strong>di</strong>penda<br />
imme<strong>di</strong>atamente da Dio oppure derivi dal vicario <strong>di</strong> Dio, il papa (III.i.5). Vale a <strong>di</strong>re: l'imperatore è<br />
sottomesso al papa, e gli deve quin<strong>di</strong> obbe<strong>di</strong>enza, oppure le due autorità stanno sullo stesso piano?<br />
[Il rapporto tra l’Impero e la Chiesa] Trattandosi <strong>di</strong> una materia tanto spinosa e attuale, si<br />
comprende perché Dante cambi, rispetto ai libri precedenti, il modo della sua argomentazione. Egli<br />
deve far fronte a tutte le false ragioni elencate da coloro che vogliono sottomettere l'Impero <strong>alla</strong><br />
Chiesa. Dante, in primo luogo, osserva come le tesi dei curialisti (i <strong>di</strong>fensori, cioè della Curia<br />
romana) non trovino alcuna conferma nei testi sacri, né nell'Antico né nel Nuovo Testamento. In<br />
secondo luogo Dante affronta il problema della donazione <strong>di</strong> Costantino. Questi, sostenevano i<br />
curialisti, aveva lasciato Roma e l'Occidente nelle mani <strong>di</strong> papa Silvestro: al papa, dunque, sovrano<br />
<strong>di</strong> Roma, spettava il compito <strong>di</strong> conferire o <strong>di</strong> togliere l'autorità imperiale. Ma, obietta Dante, tale<br />
donazione va considerata nulla dal punto <strong>di</strong> vista giuri<strong>di</strong>co: perché Costantino, come primo<br />
servitore dell'Impero, non aveva il potere <strong>di</strong> <strong>di</strong>sporne a suo piacimento, come cosa sua; e perché il<br />
papa non aveva il potere <strong>di</strong> accettare beni terreni, per una precisa proibizione evangelica. Alla<br />
confutazione delle ragioni degli avversari segue l'esposizione delle proprie posizioni. Dante sostiene<br />
che:<br />
(1) L'Impero non può essere considerato soggetto <strong>alla</strong> Chiesa perché esso è nato prima della<br />
Chiesa stessa: dunque quest'ultima non ne è stata la causa.<br />
(2) Nulla e nessuno mai hanno dato <strong>alla</strong> Chiesa la «virtù <strong>di</strong> dare autorità al Principe<br />
romano»: né le leggi <strong>di</strong> natura né Dio tramite la Bibbia, né alcun imperatore, né il consenso delle<br />
genti.<br />
(3) Gesù ha affermato che il suo regno non è <strong>di</strong> questo mondo, intendendo <strong>di</strong>re che «egli, in<br />
quanto esempio <strong>alla</strong> Chiesa, non aveva cura del regno <strong>di</strong> quaggiù».<br />
Per queste ragioni, conclude Dante, il potere dell'imperatore <strong>di</strong>scende <strong>di</strong>rettamente da Dio e<br />
la sua sfera d'azione è autonoma rispetto a quella del papa: mentre a quest'ultimo spetta <strong>di</strong> guidare<br />
gli uomini verso la salvezza eterna, all'imperatore spetta <strong>di</strong> favorirli e guidarli nella conquista della<br />
felicità terrena.<br />
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