Letteratura italiana: dalle Origini alla morte di ... - Claudio Giunta
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più nobili schiatte fiorentine: e con un breve riepilogo della storia <strong>di</strong> Firenze si chiude il libro.<br />
Rispetto alle altre opere del periodo fiorentino, il Ninfale rivela una maggiore coscienza dei mezzi<br />
narrativi: gli giovano l’ambientazione ‘familiare’ nel contado fiorentino, la popolarità dei caratteri e<br />
la semplicità dello stile; e gli giova il fatto che il peso dell’eru<strong>di</strong>zione mitologica si sia ridotto, e<br />
l’allegoria non faccia più velo a una narrazione che ha la vivacità <strong>di</strong> quella delle novelle<br />
decameroniane.<br />
6.3 Il «Decameron»<br />
[Tempi <strong>di</strong> composizione] Boccaccio lavora al suo capolavoro, il Decameron (nome da lui<br />
stesso coniato unendo insieme due parole greche: ‘Dieci giornate’), negli anni subito successivi <strong>alla</strong><br />
peste nera del 1348. È ben probabile che alcune delle cento novelle poi entrate a far parte del libro<br />
siano state scritte prima <strong>di</strong> quella data, cioè preesistessero al progetto della raccolta, ma <strong>di</strong> questa<br />
ipotetica ‘preistoria’ non abbiamo testimonianze precise. Certo è che parti dell’opera circolarono a<br />
Firenze prima che essa fosse conclusa: nell’introduzione <strong>alla</strong> quarta giornata, Boccaccio si <strong>di</strong>fende<br />
<strong>dalle</strong> critiche che alcuni lettori gli avevano rivolto. Il libro venne ultimato nei primi anni Cinquanta,<br />
forse nel 1353; tuttavia, nel ventennio successivo, Boccaccio – nonostante la sufficienza con cui<br />
sarà solito parlare delle sue opere giovanili in volgare – non cesserà <strong>di</strong> me<strong>di</strong>tarvi sopra e <strong>di</strong><br />
ritoccarlo: la sua ultima volontà è consegnata a un manoscritto autografo (lo Hamilton 90 della<br />
Staatsbibliothek <strong>di</strong> Berlino) databile al 1370, cinque anni prima della <strong>morte</strong>.<br />
[La trama] La trama nella quale le novelle sono inserite è molto semplice. Nel 1348 la peste<br />
imperversa a Firenze: l’introduzione al libro descrive la drammatica situazione della città: i cadaveri<br />
riempiono le strade, i legami più sacri – tra moglie e marito, tra genitori e figli – si spezzano; si<br />
moltiplicano le fosse comuni. È possibile che Boccaccio abbia presente qui dei modelli letterari o<br />
figurativi (il tema della peste ricorre nella tra<strong>di</strong>zione occidentale in autori tanto <strong>di</strong>versi come<br />
Tuci<strong>di</strong>de, Lucrezio e Paolo Diacono, così come poi in Manzoni e in Camus); ma è certo che la<br />
sostanza della descrizione è tratta dall’osservazione <strong>di</strong>retta: Boccaccio - che nell’epidemia perse il<br />
padre, la matrigna e vari amici – fu testimone del flagello. È in questo tragico frangente che un<br />
gruppo <strong>di</strong> <strong>di</strong>eci giovani (sette donne e tre uomini) si riunisce e decide <strong>di</strong> abbandonare la città per<br />
evitare il contagio: alcune ville <strong>di</strong> loro proprietà situate nel contado saranno il loro rifugio. La<br />
‘cornice’ del Decameron – quella in cui l’autore parla in prima persona e in cui sono incastonate le<br />
novelle – dà conto della vita della brigata durante le due settimane <strong>di</strong> questo volontario esilio. I<br />
giovani scelgono ogni giorno tra le loro fila un ‘re’ o una ‘regina’ che fissa mo<strong>di</strong> e tempi delle<br />
attività quoti<strong>di</strong>ane, e suonano, cantano, e soprattutto raccontano delle novelle: una ciascuno per<br />
<strong>di</strong>eci giorni (il ‘novellare’ è sospeso nei giorni <strong>di</strong> venerdì e sabato), per un totale <strong>di</strong> cento novelle: e<br />
queste cento novelle – in cui dunque ciascuno dei <strong>di</strong>eci personaggi prende la parola – rappresentano<br />
appunto il contenuto della cornice. Passate le due settimane, i giovani rientrano a Firenze.<br />
[La cornice] La cornice – l’artificio narrativo che permette <strong>di</strong> saldare insieme le novelle –<br />
non è un’invenzione <strong>di</strong> Boccaccio. Essa era già ben nota <strong>alla</strong> tra<strong>di</strong>zione narrativa in<strong>di</strong>ana e araba: e<br />
opere come le Mille e una notte, la Storia <strong>di</strong> Calila e Dimna, o il libro <strong>di</strong> Sendebar, o la storia <strong>di</strong><br />
Barlaam e Josaphat, tradotte in latino nel corso dei secoli XII e XIII, poterono senz’altro venire a<br />
conoscenza dello scrittore, sia a Firenze sia, più verosimilmente, <strong>alla</strong> corte angioina <strong>di</strong> Napoli. Lo<br />
stesso si può <strong>di</strong>re <strong>di</strong> un’opera che ebbe larghissima <strong>di</strong>ffusione a partire dal secolo XII, la Disciplina<br />
clericalis dell’ebreo spagnolo Pietro Alfonso: una serie <strong>di</strong> racconti esemplari che un padre raccoglie<br />
allo scopo <strong>di</strong> istruire il figlio (<strong>di</strong>sciplina = istruzione). Tuttavia, la <strong>di</strong>fferenza tra la cornice del<br />
Decameron e quella dei testi appena citati salta agli occhi. Nelle raccolte pre-boccacciane, la<br />
cornice è un davvero un semplice artificio, un pretesto che non ha altro scopo se non quello <strong>di</strong> fare<br />
da esile filo conduttore fra gli exempla raccolti dall’antologista-scrittore; in Boccaccio, la cornice ha<br />
un ruolo molto più importante e una ben maggiore estensione: non è semplicemente uno sfondo<br />
bensì il vero motore narrativo dell’opera.<br />
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