Letteratura italiana: dalle Origini alla morte di ... - Claudio Giunta
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lista delle voci e delle locuzioni da usare nelle lettere, dopo la Doctrina che insegna analiticamente<br />
a comporle - gli esempi <strong>di</strong> exor<strong>di</strong>a (‘esor<strong>di</strong>, avvii <strong>di</strong> documento’) presentati al lettore sono nelle due<br />
lingue, «litteraliter et vulgariter» (‘in latino e in volgare’). Per esempio: «Supplica la mia parvitade<br />
a la vostra segnoria devotamente, che vio, per Deo e per lo vostro onore, segundo la vostra força<br />
ch’è sufficiente in questa parte, vugliae dare overa che possa avere officio in comuno» (‘Nella mia<br />
umiltà supplico la Vostra Signoria perché vogliate, in nome <strong>di</strong> Dio e del Vostro buon nome, operare<br />
affinché io possa ricevere un incarico presso il comune’). È dunque probabile che già nella prima<br />
metà del secolo l’epistolografia e l’arte notaria dovessero venire incontro alle esigenze <strong>di</strong> un<br />
pubblico <strong>di</strong> utenti ‘non letterati’ sempre più ampio.<br />
[La storiografia] La grande storiografia in volgare nasce nel primo Trecento, con le<br />
Cronache <strong>di</strong> Dino Compagni e Giovanni Villani. Nel Duecento, la lingua delle scritture storiche è il<br />
latino, e il loro impianto è piuttosto elementare: si tratta o <strong>di</strong> cronache che mettono in fila, senza<br />
analizzarli, piccoli fatti <strong>di</strong> risonanza locale, oppure <strong>di</strong> storie universali che si riducono a una rozza<br />
elencazione degli eventi succedutisi d<strong>alla</strong> fondazione <strong>di</strong> Roma (o più in<strong>di</strong>etro ancora) agli anni in<br />
cui vive lo scrivente (unica eccezione la Chronica latina del frate parmense Salimbene de Adam,<br />
che fu testimone <strong>di</strong>retto <strong>di</strong> buona parte degli episo<strong>di</strong> della storia duecentesca da lui narrati). Le due<br />
più importanti cronache duecentesche in volgare s’ispirano <strong>di</strong> fatto a questi semplici modelli.<br />
Marcatissima è l’impronta annalistica nella Cronaca pseudolatiniana (così chiamata perché un<br />
tempo falsamente attribuita a Brunetto Latini), opera <strong>di</strong> un fiorentino che anno per anno elenca gli<br />
eventi a suo parere più notevoli ravvivando la sua cronaca con aneddoti curiosi circa strani<br />
fenomeni naturali, eventi miracolosi, leggende dedotte d<strong>alla</strong> sua fonte primaria, l’opera <strong>di</strong> Martino<br />
Polono. Più critica, meno incline all’aneddoto e insomma più moderna è invece l’Istoria fiorentina<br />
<strong>di</strong> Ricordano Malaspini (proseguita dal nipote Giacotto fino al 1285) che ripercorre la storia della<br />
città <strong>dalle</strong> mitiche origini fiesolane ai Vespri siciliani (1282). Ritenuta a lungo una falsificazione a<br />
causa delle sue estese concordanze con la più tarda Cronaca del Villani, oggi è opinione comune<br />
che essa rappresenti invece una delle principali fonti <strong>di</strong> quest’ultimo.<br />
[La prosa narrativa. Premessa] Il genere che nelle altre letterature romanze ha spesso una<br />
funzione fondatrice, la prosa narrativa, <strong>di</strong>ede nel Duecento italiano frutti poverissimi. Suo carattere<br />
tipico è, nei primi tempi, la fusione tra l’istanza narrativa e quella morale-religiosa. L’invenzione<br />
romanzesca ha bisogno <strong>di</strong> appoggiarsi all’autorità dei filosofi o della Chiesa: narrare è possibile, ma<br />
solo a patto che ciò serva all’e<strong>di</strong>ficazione del lettore. Le prime raccolte <strong>di</strong> novelle italiane (dato che<br />
per trovare qualcosa che assomigli al romanzo occorrerà attendere il Trecento) riflettono questa<br />
situazione <strong>di</strong> limitata autonomia tanto nel loro contenuto quanto nella loro struttura e genesi. Circa<br />
il contenuto esse mirano sempre ad insegnare qualcosa. Quanto <strong>alla</strong> struttura, essa ricalca quella<br />
delle collezioni <strong>di</strong> exempla (brevi racconti che illustrano un precetto morale: un esempio, appunto)<br />
o <strong>di</strong> leggende sacre: le novelle raccolte nei Conti senesi o nel Fiore <strong>di</strong> filosafi (cfr. infra) nascono<br />
già in gruppo, come un organico manuale <strong>di</strong> precetti virtuosi. La novella singola o, come si <strong>di</strong>rà,<br />
‘spicciolata’, specchio <strong>di</strong> un gusto per la narrazione <strong>di</strong>ventato premio a se stesso, sarà un’invenzione<br />
quattrocentesca. Quanto <strong>alla</strong> genesi, le nostre prime prose narrative sono in buona misura traduzioni<br />
o rimaneggiamenti <strong>di</strong> modelli francesi o latini. Quel confronto con le altre lingue <strong>di</strong> cultura che<br />
rappresentò, in poesia, la necessaria premessa allo sviluppo <strong>di</strong> una tra<strong>di</strong>zione <strong>italiana</strong> originale,<br />
accompagnò per più lungo tratto l’evoluzione della narrativa <strong>italiana</strong> me<strong>di</strong>evale.<br />
[I Conti senesi] Nei Conti senesi, frammentario volgarizzamento <strong>di</strong> prose devote francesi, le<br />
Vies des Peres, l’intenzione e<strong>di</strong>ficante e <strong>di</strong>dattica è esplicitata già in righe introduttive che possono<br />
ben considerarsi come il prologo dell’intera raccolta. I 14 racconti (ma dovevano essere più<br />
numerosi in origine) vengono preannunciati come opera «<strong>di</strong> grande autorità», scritta «a utilità <strong>di</strong><br />
coloro che lo legierano». Ne sono protagonisti non i borghesi che vedremo all’opera nel Novellino e<br />
nel Decameron né i saggi e i filosofi <strong>di</strong> altre raccolte coeve bensì anonimi personaggi legati <strong>alla</strong><br />
chiesa - eremiti, frati, monache - i quali attraverso le loro vicende forniscono al lettore un modello<br />
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