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Letteratura italiana: dalle Origini alla morte di ... - Claudio Giunta

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12.4). Questi due modelli sono citati esplicitamente da Dante nel canto II dell'Inferno, quando<br />

chiede a Virgilio perché proprio lui è stato prescelto per il viaggio nell’oltretomba cristiano: «Io non<br />

Enëa, io non Paulo sono» (Inf. II 32). Ma sia la visione sia il viaggio attraverso mon<strong>di</strong> immaginari e<br />

soprannaturali sono strutture narrative largamente <strong>di</strong>ffuse sia nell'agiografia (le ‘vite dei santi’: per<br />

esempio nel Purgatorio <strong>di</strong> San Patrizio, o nella Navigazione <strong>di</strong> San Brendano) sia nei vangeli<br />

apocrifi (quei vangeli, cioè, che pur essendo estranei al canone fissato d<strong>alla</strong> Chiesa cattolica,<br />

godevano <strong>di</strong> larga <strong>di</strong>ffusione anche a livello popolare), sia in testi appartenenti a tra<strong>di</strong>zioni straniere:<br />

francesi, spagnoli, arabi (particolarmente importante il Libro della Scala, in cui è rappresentato il<br />

viaggio <strong>di</strong> Maometto nell'oltretomba).<br />

[Lingua e stile: il metro] Nella Comme<strong>di</strong>a, Dante adopera una forma metrica <strong>di</strong> cui non si<br />

trovano, prima <strong>di</strong> lui, altre attestazioni: la terzina (o terza rima) detta ‘incatenata’: una forma aperta,<br />

allungabile a piacere, a seconda delle esigenze del <strong>di</strong>scorso. Lo schema delle rime è il seguente:<br />

ABA BCB CDC DED EFE, ecc.<br />

È possibile che tra le ragioni della scelta <strong>di</strong> questo metro vi sia un'intenzione simbolica: il ritorno<br />

del ‘numero sacro’ 3 (come le persone della Trinità, e come le cantiche della Comme<strong>di</strong>a). Ma la<br />

terzina ha soprattutto un'insostituibile funzione narrativa: consente <strong>di</strong> sviluppare il <strong>di</strong>scorso in<br />

maniera or<strong>di</strong>nata e omogenea ma, insieme, evita la monotonia delle rime baciate (<strong>di</strong> lunghe serie <strong>di</strong><br />

rime baciate a due a due si erano serviti spesso i poeti che, prima <strong>di</strong> Dante, avevano tentato la strada<br />

del poemetto in volgare).<br />

[Il lessico nell’Inferno] La varietà dei temi e delle figure rappresentate nella Comme<strong>di</strong>a si<br />

rispecchia nel linguaggio. Quello della Vita nova e delle Rime poteva limitarsi al riuso <strong>di</strong> un limitato<br />

numero <strong>di</strong> termini e <strong>di</strong> espressioni tra<strong>di</strong>zionali: si trattava quasi sempre <strong>di</strong> testi amorosi che<br />

utilizzavano dunque un linguaggio dei sentimenti fortemente co<strong>di</strong>ficato. L'oggetto della Comme<strong>di</strong>a<br />

è molto più ampio e complesso. La caratteristica saliente del poema è la polarità - che può<br />

significare anche compresenza a breve <strong>di</strong>stanza - tra registro basso e registro altro, tra umile e<br />

sublime. Da un lato, per la raffigurazione dell'Inferno, Dante si serve <strong>di</strong> uno stile aspro,<br />

violentemente realistico, a volte triviale. Non <strong>di</strong>sdegna perciò termini della lingua popolare<br />

(stregghia, scardova, buffa, ecc.); allinea nomi <strong>di</strong> luogo e <strong>di</strong> persona foneticamente rari e buffi o<br />

spaventosi: per esempio i <strong>di</strong>avoli si chiamano Alichino, Calcabrina, Cagnazzo, Barbariccia,<br />

Farfarello, ecc. (Inf. XXI); soprattutto, adopera questi proce<strong>di</strong>menti stilistici in rima, facendo sì che<br />

il suono aspro delle parole si estenda a intere terzine.<br />

[Il lessico nel Purgatorio e nel Para<strong>di</strong>so] Rispetto <strong>alla</strong> rappresentazione dell'Inferno quella<br />

del Purgatorio e del Para<strong>di</strong>so richiede uno stile del tutto <strong>di</strong>verso. Occorre, qui, dare conto delle<br />

gerarchie angeliche, della forma e della funzione dei cieli, e occorre affrontare delicati temi<br />

teologici. Inoltre quella che Dante ha davanti agli occhi non è una realtà materiale e carnale, fatta <strong>di</strong><br />

peccatori e <strong>di</strong> pene, ma un mondo <strong>di</strong> puri spiriti che sono o saranno beati. Di qui la scelta <strong>di</strong><br />

un'espressione più raffinata, lontana dal linguaggio quoti<strong>di</strong>ano. Dante fa larghissimo uso <strong>di</strong><br />

latinismi (image, viro – ‘uomo’, cive - ‘citta<strong>di</strong>no’, ecc.) spesso ricavati dal linguaggio scolastico e<br />

teologico (querente, qui<strong>di</strong>tate, sillogismo, ecc). Si pensi a un verso come «là ’ve s’appunta ogni ubi<br />

e ogne quando» (Par. XXIX 12). Dovendo inoltre dar conto <strong>di</strong> una realtà estranea a ogni<br />

esperienza umana (il Para<strong>di</strong>so), Dante inventa, insieme ai dettagli della visione, le parole che<br />

servono a esprimerla: <strong>di</strong> qui i neologismi incielarsi, insusarsi, indovarsi, o versi come «s’io<br />

m’intuassi, come tu t’inmii» (Par. IX 81: ‘se io penetrassi nel tuo pensiero come tu nel mio’).<br />

[Fortuna critica. Gli scritti in prosa] Ripercorrendo, in sintesi, le tappe principali della<br />

fortuna <strong>di</strong> Dante, conviene innanzitutto <strong>di</strong>stinguere tra il prosatore e il poeta. Il trattato sulla lingua e<br />

quello sulla politica ebbero, per ragioni <strong>di</strong>verse, circolazione limitata. Il De vulgari eloquentia restò<br />

incompiuto, e circolò pochissimo (ne restano solo tre manoscritti trecenteschi), tanto che, quando<br />

nel Cinquecento, venne ‘ritrovato’ e tradotto dal Trissino molti pensarono ad un falso; la prima<br />

e<strong>di</strong>zione a stampa è del 1577. La Monarchia, per il suo risoluto spirito anti-teocratico, non piacque<br />

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