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Letteratura italiana: dalle Origini alla morte di ... - Claudio Giunta

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appena sfiorate dai siciliani, come la tenzone in sonetti o in canzoni, <strong>di</strong>lagano, <strong>di</strong>ventando per molti<br />

rimatori <strong>di</strong>lettanti il solo modo <strong>di</strong> accesso <strong>alla</strong> poesia: sono numerosi, nei canzonieri, i ‘poeti’ che<br />

hanno composto soltanto un sonetto o due, quasi sempre per la pratica ‘sociale’ delle<br />

corrispondenze in verso. Insieme, prende piede l’uso, che sarà anche dantesco, <strong>di</strong> inviare le proprie<br />

canzoni a destinatari esplicitamente nominati (patroni, amici, colleghi d’arte) che s’intende<br />

commuovere o convincere. Da strumento <strong>di</strong> svago fine a se stesso quale era nella Magna Curia, la<br />

poesia si fa così, nei comuni centro-italiani del secondo Duecento, mezzo <strong>di</strong> comunicazione<br />

alternativo <strong>alla</strong> prosa.<br />

[Due tra<strong>di</strong>zioni opposte: i ‘cortesi’ e i ‘moralisti’] Infine – per in<strong>di</strong>care un ultimo carattere<br />

generale del periodo - la transizione da sud a nord dà luogo non a una bensì a più esperienze<br />

poetiche concomitanti e tra loro variate. Vi è un gruppo <strong>di</strong> poeti che amplia e rielabora il modello<br />

siciliano tenendone però ferme alcune acquisizioni essenziali (fedeltà al co<strong>di</strong>ce dell’amore cortese,<br />

visto ancora come valore e non come peccato, riluttanza a trasferire nella poesia i temi dell’attualità,<br />

ecc.); e vi è un gruppo <strong>di</strong> ‘rivoluzionari’ che rovescia quel modello non solo concedendo largo<br />

spazio a motivi politici, etici e religiosi, ma soprattutto smascherando l’ideologia cortese nelle sue<br />

implicazioni anticristiane: la fin’amor che costituiva per i provenzali e i federiciani, e costituirà poi<br />

per buona parte dei lirici italiani dopo lo stilnuovo, la ragione prima del far poesia, <strong>di</strong>venta in<br />

costoro un idolo da combattere in nome dei superiori valori della moralità e della fede. Il lucchese<br />

Bonagiunta Orbicciani e il bolognese Guido Guinizzelli sono i rappresentanti più insigni della<br />

prima maniera, quella che ripropone i valori laico-cortesi dei lirici siciliani; Guittone d’Arezzo è il<br />

caposcuola in<strong>di</strong>scusso <strong>di</strong> questa seconda scuola <strong>di</strong> poeti-moralisti.<br />

[Guittone d’Arezzo. La vita] Nato ad Arezzo probabilmente negli anni Trenta del Duecento<br />

e morto prima della fine del secolo, Guittone è senza dubbio la personalità <strong>di</strong> maggiore spicco tra<br />

quante ce ne presenta la poesia <strong>italiana</strong> anteriore a Dante. Ad Arezzo fu probabilmente in contatto<br />

con l’ambiente dell’università: la sua poesia e più ancora le sue lettere presuppongono una cultura<br />

ampia sebbene non profonda, e una notevole conoscenza delle regole del <strong>di</strong>ctamen (‘l’arte del<br />

comporre’) poetico e prosastico. Di estrazione me<strong>di</strong>o-alta (il padre era tesoriere del comune, lui<br />

stesso entrerà a far parte <strong>di</strong> un or<strong>di</strong>ne, i Frati Godenti, al quale si accedeva anche sulla base del<br />

censo), Guittone dovette avere un ruolo <strong>di</strong> rilievo nella vita civile e politica del suo tempo. La<br />

celebre canzone Ahi lasso, or è stagion de doler tanto, ce lo mostra impegnato in un planh (prov.<br />

‘lamento’) sulla sconfitta dei guelfi fiorentini a Montaperti (1260), sconfitta che ebbe negative<br />

conseguenze anche sui guelfi aretini e su Guittone stesso, il quale trascorse alcuni anni in esilio.<br />

[I due momenti della carriera poetica] Si è soliti <strong>di</strong>videre la carriera poetica <strong>di</strong> Guittone in<br />

due parti. La prima va dagli esor<strong>di</strong> ai primissimi anni Sessanta; la seconda inizia <strong>di</strong> qui e prosegue<br />

probabilmente sino <strong>alla</strong> <strong>morte</strong>. La consuetu<strong>di</strong>ne cortese legava in<strong>di</strong>ssolubilmente l’amore <strong>alla</strong><br />

gioventù (tanto che l’‘amore in tarda età’, ben noto ai moderni, si può <strong>di</strong>re quasi sconosciuto <strong>alla</strong><br />

tra<strong>di</strong>zione me<strong>di</strong>evale), e il primo Guittone non si sottrae al cliché, ma dà dell’amore una lettura un<br />

po’ <strong>di</strong>versa rispetto a quella che ne era stata data dai siciliani e che ne stavano dando i suoi<br />

contemporanei. Quale che sia la natura della loro esperienza amorosa e quale che ne fosse l’esito<br />

(appagamento o frustrazione), costoro accettano l’equazione già trobadorica tra amore e valore, vale<br />

a <strong>di</strong>re il dogma sul quale si reggeva l’e<strong>di</strong>ficio dell’ideologia cortese: nella vita d’un uomo, amare e<br />

cantare il proprio amore sono comunque esperienze nobilitanti, e la partecipazione a queste<br />

esperienze <strong>di</strong>stingue l’uomo nobile, saggio e <strong>di</strong> alto sentire dall’uomo vile.<br />

[La nuova e <strong>di</strong>sincantata visione dell’amore] In molti dei suoi componimenti Guittone, pur<br />

restando poeta d’amore, corregge questa tra<strong>di</strong>zione cortese in due mo<strong>di</strong>. Da un lato offre una<br />

visione totalmente negativa dell’esperienza sentimentale, considerata come una malattia d<strong>alla</strong> quale<br />

occorre guarire: l’amore, scrive Guittone, è una tortura, una passione infausta che annulla la ragione<br />

e <strong>di</strong>strugge il corpo. Dall’altro lato - e ciò particolarmente nei sonetti, e più precisamente in quegli<br />

86 sonetti che per essere conservati insieme in uno stesso manoscritto e per la presenza <strong>di</strong> un pur<br />

debole filo narrativo che li collega l’uno all’altro sono stati definiti ‘canzoniere’ - accade che<br />

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