Letteratura italiana: dalle Origini alla morte di ... - Claudio Giunta
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estituendogli quella purezza e quella eleganza che – come egli afferma - si era perduta nel<br />
‘barbarico’ latino degli scolastici. Tenta, pur senza grande successo, <strong>di</strong> imparare il greco per poter<br />
leggere Omero nell’originale (e in questo tentativo lo affiancherà Boccaccio). In prima persona,<br />
inoltre, scopre opere latine <strong>di</strong>menticate nelle biblioteche italiane ed europee, e ne trasmette copia<br />
agli amici. E questi amici li ribattezza, nelle lettere, con nomi trovati nella tra<strong>di</strong>zione classica:<br />
Angelo Tosetti <strong>di</strong>venta Lelio, il fiammingo Ludwig van Kempen <strong>di</strong>venta Socrate. Non stupisce che<br />
l’influenza della cultura greco-latina, così forte sulla vita del poeta, si faccia sentire ancora più forte<br />
sull’opera: non c’è testo petrarchesco, infatti in prosa o in verso, che non si richiami in maniera più<br />
o meno <strong>di</strong>retta all’esempio degli antichi.<br />
[La critica della cultura contemporanea] Il culto dell’antichità greco-latina implica anche un<br />
giu<strong>di</strong>zio molto severo nei confronti della cultura del proprio tempo. L’idea <strong>di</strong> cultura <strong>di</strong> Petrarca si<br />
fonda su due elementi: la lezione umanistica dei classici e la dottrina cristiana così come l’aveva<br />
co<strong>di</strong>ficata il Padre della Chiesa che rappresenterà sempre per Petrarca un ideale <strong>di</strong> intellettuale e <strong>di</strong><br />
uomo: Agostino. L’incontro tra la classicità e il cristianesimo ha luogo, per Petrarca, sul terreno<br />
dell’etica: ai suoi occhi, la filosofia tardo-me<strong>di</strong>evale, dominata <strong>dalle</strong> sottigliezze degli scolastici e<br />
dei <strong>di</strong>alettici, non ha alcun valore. Ciò risulterà evidente in due opuscoli della maturità: le Invective<br />
contra me<strong>di</strong>cum (1353), che sono una <strong>di</strong>chiarazione <strong>di</strong> superiorità delle cosiddette arti liberali su<br />
quelle che sono in<strong>di</strong>rizzate al guadagno, e in particolare un elogio della poesia e della retorica -<br />
insomma delle ‘<strong>di</strong>scipline umanistiche’ - contro la pseudo-scienza dei me<strong>di</strong>ci. E il De ignorantia<br />
(1366-67), in cui Petrarca afferma la superiorità della filosofia morale sulle scienze naturali e, <strong>di</strong><br />
conseguenza, la superiorità dei gran<strong>di</strong> moralisti classici (Platone, Cicerone) e cristiani rispetto a<br />
quella <strong>di</strong> Aristotele. Petrarca mette così in <strong>di</strong>scussione il primato <strong>di</strong> quello che durante tutto il<br />
Me<strong>di</strong>oevo era stato, ed era ancora, il Filosofo per eccellenza; insieme, attacca gli ere<strong>di</strong> <strong>di</strong> Aristotele:<br />
quelle scuole <strong>di</strong> logica e <strong>di</strong>alettica che ne avevano pervertito il metodo, riducendo la filosofia a<br />
semplice gioco intellettuale.<br />
5.3 Le opere<br />
[L’Africa] Con l’Africa, iniziata a Valchiusa tra il 1338 e il 1339 e mai portata a termine,<br />
Petrarca intende rinnovare la grande tra<strong>di</strong>zione dell’epica latina. Per farlo, sceglie <strong>di</strong> narrare non <strong>di</strong><br />
eventi contemporanei bensì <strong>di</strong> un episo<strong>di</strong>o glorioso della storia romana: la guerra <strong>di</strong> Scipione contro<br />
i cartaginesi, d<strong>alla</strong> prima spe<strong>di</strong>zione in Africa <strong>alla</strong> battaglia <strong>di</strong> Zama al rientro trionfale a Roma.<br />
Insieme ai modelli poetici, Virgilio e Lucano, Petrarca ha presente qui soprattutto lo storico Tito<br />
Livio, i cui Ab urbe con<strong>di</strong>ta libri aveva del resto iniziato a stu<strong>di</strong>are già negli anni Venti: come<br />
spesso in Petrarca, l’attività filologica (egli progetta, e in buona misura realizza, una sorta <strong>di</strong><br />
e<strong>di</strong>zione critica <strong>di</strong> Livio) prepara, fornendo dati ed idee, la creazione letteraria. L’Africa restò<br />
incompiuta e, vivente l’autore, non ne circolarono se non brevi brani; ciò che il pubblico arrivò a<br />
conoscere bastò, tuttavia, a garantire a Petrarca una larghissima fama: e la cosa si spiega, perché il<br />
tema del riscatto romano, per quanto remoto, poteva ben essere letto come allegoria, ossia come<br />
auspicio per l’Italia trecentesca. Così il poeta ne parlerà nella lettera ai posteri (su cui cfr. oltre):<br />
«Vagavo tra quei monti [in Provenza], il sesto giorno della settimana santa, quando mi venne il<br />
desiderio <strong>di</strong> scrivere un poema epico su Scipione l’Africano, che mi era stato caro sin dall’infanzia.<br />
Ma, per il soggetto trattato, intitolai Africa quest’opera. Fu amata da molti ancor prima <strong>di</strong> essere<br />
conosciuta; ma, iniziatala, con grande impegno, presto la interruppi, <strong>di</strong>stratto da altre occupazioni».<br />
[Il De viris illustribus] Il De viris illustribus doveva essere, nel progetto originale databile<br />
<strong>alla</strong> fine degli anni Trenta, una raccolta <strong>di</strong> biografie de<strong>di</strong>cate ai gran<strong>di</strong> personaggi della storia<br />
romana, da Romolo a Tito. Come l’Africa, anche quest’opera rimase incompiuta; e, come l’Africa,<br />
anche nel De viris a Scipione l’Africano viene concesso uno spazio eccezionalmente ampio: la sua<br />
biografia è lunga quasi quanto tutte le altre messe assieme. Le due opere nascono dunque insieme e<br />
procedono per un certo tratto in parallelo. Mentre però il tentativo dell’Africa era quello, davvero<br />
gran<strong>di</strong>oso, <strong>di</strong> ridare vita all’epica latina, il De viris ha ra<strong>di</strong>ci in una tra<strong>di</strong>zione che, da Svetonio in<br />
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