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Letteratura italiana: dalle Origini alla morte di ... - Claudio Giunta

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queste ultime contengono da sole una morale implicita perfettamente comprensibile. Insomma,<br />

quando si raccontano delle storie non bisogna farla troppo lunga; ecco come questo precetto<br />

‘morale’ - che possiamo prendere a simbolo della me<strong>di</strong>tata stringatezza del Novellino - è reso<br />

narrativamente nella nov. 89:<br />

Brigata <strong>di</strong> cavalieri cenavano una sera in una gran casa fiorentina, e avevavi uno uomo <strong>di</strong> corte, il quale era gran<strong>di</strong>ssimo<br />

favellatore. Quando ebbero cenato, cominciò una novella che non venìa meno. Uno donzello della casa che servia [...]<br />

lo chiamò per nome, e <strong>di</strong>sse: «Quelli che t’insegnò cotesta novella, non la t’insegnò tutta». Ed elli rispuose: «Perché<br />

no?». Ed elli rispuose: «Perché non t’insegnò la restata [cioè ‘non ti insegnò a fermarti quando è l’ora’]». Onde quelli si<br />

vergognò, e ristette.<br />

[L’arma della parola] Centrale, nel Novellino, è dunque la <strong>di</strong>mensione della parola, non -<br />

come sarà nel Decameron - quella dell’evento. Negli anni in cui volgarizzatori come Guidotto da<br />

Bologna o Bono Giamboni o Brunetto Latini traducono ad uso degli studenti e dei giuristi la<br />

Rhetorica ad Herennium e il De inventione, il Novellino offre ad un pubblico <strong>di</strong> laici e <strong>di</strong> borghesi<br />

<strong>di</strong> me<strong>di</strong>a cultura un modello più abbordabile e più avvincente <strong>di</strong> retorica ‘civile’: un prontuario <strong>di</strong><br />

belle risposte trovate da ingegni brillanti, spesso subalterni dal punto <strong>di</strong> vista del rango sociale<br />

rispetto ai loro interlocutori nella fictio (nella nov. 89 appena citata chi viene sbeffeggiato è<br />

l’«uomo <strong>di</strong> corte», chi sbeffeggia un semplice «donzello», un cameriere). Nella formazione degli<br />

intellettuali duecenteschi, le arti verbali della retorica e della <strong>di</strong>alettica occupano una posizione <strong>di</strong><br />

assoluto rilievo; in un àmbito profondamente <strong>di</strong>verso - quello della novellistica ‘popolare’ - il<br />

Novellino risente <strong>di</strong> questa congiuntura culturale. In esso, le ‘situazioni’ non interessano se non<br />

nella misura in cui possono essere risolte - e <strong>di</strong> fatto vengono risolte - con le armi della parola.<br />

[Verso il romanzo: la materia troiana, romana, bretone; l’oriente] Accanto a quest’ampia<br />

produzione novellistica, importante perché segna la strada che porterà nel giro <strong>di</strong> mezzo secolo al<br />

Decameron, fanno la loro comparsa sullo scorcio del Duecento altre forme narrative che per<br />

estensione e per struttura possiamo accostare al genere moderno del romanzo. Attraverso la<br />

letteratura francese, filtrano in Italia tre temi mitico-storici che rappresenteranno per tutto il<br />

Me<strong>di</strong>oevo altrettante fonti del romanzesco. Alla materia troiana, compen<strong>di</strong>ata da Benoît de Sainte-<br />

More nel Roman de Troie, fanno capo la già citata Historia destructionis Troiae <strong>di</strong> Guido delle<br />

Colonne e l’Istorietta troiana, in volgare toscano, oltre a Brunetto Latini, nel Tresor, e ad alcuni<br />

racconti del Novellino. Un centone francese <strong>di</strong> primo Duecento, Li fait des Romains, che mette<br />

insieme informazioni desunte dagli storiografi e dai poeti latini (Sallustio, Svetonio, Lucano, ecc.),<br />

è invece <strong>alla</strong> base dei Fatti <strong>di</strong> Cesare e <strong>di</strong> altri numerosi volgarizzamenti che attestano l’ampia<br />

<strong>di</strong>ffusione della materia romana in Italia. Infine si moltiplicano, tra la fine del Due e l’inizio del<br />

Trecento, le versioni del Roman de Tristan francese, la celebre storia delle imprese <strong>di</strong> Tristano,<br />

esule d<strong>alla</strong> corte <strong>di</strong> re Marco, e del suo amore per Isotta. Il Tristano riccar<strong>di</strong>ano, <strong>di</strong> area toscana, è<br />

la più antica e la più ampia delle traduzioni che portano la materia bretone nei comuni toscani e<br />

nelle corti venete (abbiamo così - i nomi rinviano per convenzione alle biblioteche e alle collezioni<br />

nelle quali sono conservati i testi - un Tristano panciatichiano, un Tristano palatino, un Tristano<br />

corsiniano, ecc.).<br />

[Il Milione] Occupa infine una posizione eccezionale nella prosa delle origini il resoconto<br />

dei viaggi del mercante veneziano Marco Polo, il Milione (dal soprannome della famiglia Polo:<br />

Emilione), dettato nel 1298 da Marco a Rustichello da Pisa, uomo <strong>di</strong> lettere e suo compagno nelle<br />

carceri <strong>di</strong> Genova. L’opera, che Rustichello scrisse in francese (il titolo originale fu probabilmente<br />

Divisament dou monde), si apre con un prologo che espone l’argomento e i termini generali del suo<br />

viaggio in Asia, quin<strong>di</strong> allinea una lunga serie <strong>di</strong> paragrafi, ciascuno relativo a una delle molte<br />

regioni e città visitate, che culmina nell’incontro col monarca cinese Qubilai (o Kublai) Khan. Alle<br />

informazioni sui traffici e sulle vie <strong>di</strong> comunicazione - che si spiegano con gli scopi della missione<br />

<strong>di</strong> Marco, commerciante <strong>di</strong> preziosi e tessuti - si affiancano quelle notizie curiose e leggendarie (su<br />

uomini con la coda o con testa <strong>di</strong> cane, su personaggi del mito come il Prete Gianni, ecc.), che<br />

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