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Ricerca Immigrati_impaginato(.Pdf 1.8 MB) - Avis

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l’altruismo non sono un fenomeno pertinente al Sud Africa” [Ibid., p. 238]. Titmuss,<br />

riferendosi allo studio sui donatori del sangue Bantu nel Natal [op.cit., p.252-259],<br />

affermava: “Questioni come quella di chiedersi chi sia il mio sconosciuto vicino, nei<br />

termini legati alla donazione o al ricevimento del dono di sangue, non possono essere<br />

formulati senza dapprima comprendere il significato dell’apartheid...”. Da un<br />

punto di vista legale, ora l’apartheid sembra superato. Ma anni di soprusi e vessazioni<br />

27 si può dire abbiano minato la base della comunità sudafricana; logico che il<br />

bersaglio di un’educazione all’altruismo siano così diventati soprattutto i giovani in<br />

età scolare [deConing 2002, p.239].<br />

Nel contesto dell’emigrazione, assistiamo a pratiche non dissimili. Gli immigrati,<br />

cittadini spesso non sono; membri della comunità ove risiedono, a maggior ragione,<br />

ancora meno. Sottoposti di sovente a giudizi etnocentrici anche in Paesi, come<br />

il nostro, che si dichiarano non razzisti, costituiscono parte sempre più consistente<br />

della popolazione totale. Nella loro relazione presentata nel corso del 2005 Rossi e<br />

Mascaretti partono da un’analisi tecnica che forse carica di eccessive responsabilità<br />

i donatori, affermando che i donatori potrebbero essere comunque utili nel divulgare<br />

informazioni mediche utili per la prevenzione di particolari malattie, addirittura<br />

diventando “partners seriamente e profondamente impegnati del servizio trasfusionale”<br />

28 ; giungono alla conclusione che un’attività di quel genere sarebbe particolarmente<br />

utile nelle comunità di immigrati, al fine di rendere più disponibili le politiche<br />

della sanità pubblica, e al tempo stesso per generare un senso di una generale<br />

approvazione da parte della società…[op. cit]. Se a chiedersi who is my stranger?<br />

E’ chi straniero lo è veramente, si trova cioè estraneo al gruppo di riferimento,<br />

cosa succede, quali sono i meccanismi che scattano? Perché dovrebbe donare lo<br />

stesso? Per entrare a far parte di quel gruppo che non lo vuole? Abbiamo visto<br />

che presso la comunità dei romeni immigrati a Firenze sembra scoprirsi una certa<br />

riluttanza, in particolari classi di età, a donare il proprio sangue [cfr. Di Giorgio,<br />

Mancini 2007]. Fantauzzi, nella sua ricerca sugli immigrati marocchini a Torino evidenzia<br />

invece come questi, probabilmente a causa del loro pregresso inserimento,<br />

siano riusciti ad operare nella direzione di una forma di comprensione comunitaria,<br />

basata sulla condivisione di principi universali. Nelle parole di Fantauzzi,:<br />

Nella donazione del sangue dell’immigrato marocchino non c’è da<br />

rintracciare tanto quella tattica di resistenza alle pratiche di subordinazione<br />

della società di accoglienza, né una controffensiva alle dinamiche<br />

di stigmatizzazione dei migranti come nemici simbolici ideali<br />

per la formazione di un’identità etnica, quanto piuttosto un processo<br />

in duplice prospettiva: mantenere fede ad una religione che si impronta<br />

su un altruismo che potremmo definire comunitario e auspicare<br />

una forma di integrazione/completezza sociale e culturale che è<br />

27 Per inciso, i donatori Bantu erano classificati, da Titmuss, come captive donors.<br />

28 Posseggo il materiale stampato. Il link al sito della pubblicazione non è più attivo<br />

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