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Ricerca Immigrati_impaginato(.Pdf 1.8 MB) - Avis

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to per scontato che la pratica della donazione di sangue e l’esistenza stessa delle<br />

associazioni che ne sono promotrici non è pensabile al di fuori dello Statonazione<br />

moderno, è allo Stato che prende il mio sangue che chiedo una retribuzione,<br />

e non al mio sconosciuto ricevente; il mio altruismo non dovrebbe essere<br />

intaccato dal fatto che ricevo un contro-dono sotto forma di denaro. Il fatto è che il<br />

donatore è percepito come ammantato da un’aura speciale, che potrebbe intaccarsi<br />

se a contatto con il vil denaro. Kieran Healy [2000], nel suo interessante studio<br />

sul modo in cui le varie associazioni interagiscono con i loro donatori, provvedendo<br />

a fornire differenziate opportunità per donare il sangue 35 , afferma, fra<br />

l’altro, che “quanti si occupano di raccolta di sangue, mettono in rilievo quanto poca<br />

gente doni sangue, e così si tende a considerare i donatori come persone<br />

speciali” [Ibidl., p.1633] 36.<br />

35 Healy [2000] suggerisce che l’istinto altruistico, così come la volontà di donare a livello individuale,<br />

avrebbero poco significato e poco successo se non supportati da istituzioni fondamentalmente<br />

vicine al donatore. Compito di quelle stesse istituzioni è modulare i propri servizi<br />

rispetto alle esigenze dei donatori. Facendo riferimento a studi di settore, afferma che: “Forniscono<br />

la prova che sia le reti sociali personali e le semplici differenze organizzative hanno effetti<br />

rilevanti slle percentuali di donazione. Se molti dei tuoi amici sono donatori, probabilmente<br />

sarai un donatore anche tu. Anche l’accessibilità dei centri di raccolta - siano essi punti mobili<br />

o strutture fisse – influenzano la decisione di donare [p. 1636]. In questo si trova, ovviamente,<br />

in profondo accordo con Titmuss. Approfondendo le sue argomentazioni, cita una ricerca<br />

dell’Eurobarometer, del 1993 [p.1638] che presenta dati che gli serviranno per le sue conclusioni.<br />

In buona sostanza si chiede come sia possibile che in Francia il 44% della popolazione<br />

abbia almeno una volta donato il sangue, in Grecia il 38% Danimarca 34%per scendere al<br />

21% dell’Italia al 16% della Norvegia e al 14% del Lussemburgo. Se la spinta alla donazione<br />

fosse puramente individuale come si potrebbe spiegare una simile differenza? “io sostengo<br />

che le spiegazioni che pongono le motivazioni personali in primo piano non possono giustificare<br />

questa differenza. Dovremmo invece osservare le differenze di livello organizzativo per<br />

spiegare queste variazioni.” [Ibid.] Il titolo stesso del suo intervento sembra richiamare ad una<br />

sorta di struttura (la struttura sanitaria, nazionale o privata) intrecciata (embedded) ai legami<br />

della socialità primaria, in grado di fornire giustificazioni assai più valide di quanto possa una<br />

spiegazione psicologica.<br />

36 Kieran Healy [2006] presenta una nuova prospettiva ed un aggiornamento sulla ricerca già<br />

compiuta [cfr. Healy 2000], riesaminando l’organizzazione sociale della donazione di sangue e<br />

organi in Europa e negli Stati Uniti. Dopo aver evidenziato quanto possano essere differenti le<br />

modalità usate per la raccolta e distribuzione, sottolinea la fondamentale importanza delle istituzioni,<br />

che occupano il ruolo principale nel modellamento e fabbricazione dei contesti necessari.<br />

Uno strumento comparativo relativo al modo in cui 17 Paesi europei hanno strutturato e<br />

fanno funzionare il proprio sistema di raccolta sangue è fornito anche dallo studio di Mascaretti<br />

et Alii, 2004. Dai dati presentati, risulta che sebbene esistano ancora differenze, la maggioranza<br />

dei paesi studiati si sta muovendo nella stessa direzione per assicurare i giusti parametri<br />

di sicurezza alle proprie scorte di sangue. In questo caso si tende a rilevare una monodirezionalità<br />

di intenti, mentre invece Healy si sofferma su altri fattori: egli suggerisce infatti che il<br />

successo del sistema dipende più dalla correttezza percepita nello scambio che dalla purezza<br />

dell’altruismo del donatore o dalla grandezza dell’incentivo a donare. Personalmente, alla luce<br />

del lavoro di Casteret [1992] ho qualche dubbio sulla validità di questo ragionamento. Lo<br />

scandalo del sangue, in Francia, analizzato in questo lavoro, dimostra invero che a fronte della<br />

messa in commercio di plasma contaminato, operazione commessa scientemente stando ai<br />

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