Dio” (Ap 7,12). Fratelli, dice san Paolo, non voglio che vi comportiate come coloro “che non hanno speranza” (1 Ts 4,13). Soprattutto in questi giorni accogliamo questa grande missione e viviamo come coloro che sanno che i doni di Dio sono eterni, che la redenzione di Cristo è quotidiana, che tutto questo è offerto come grazia a ciascuno di noi. Amen.
XXXIª DOMENICA “PER ANNUM” Il Vangelo ci invita ad essere maestri della fede, testimoniandola nella nostra vita Ml 1,14-2,2.8-10 1 Ts 2,7-9.13 4 novembre 1990 Mt 23,1-12 chiesa di san Giuseppe La pagina del Vangelo che abbiamo proclamato, suscita due reazioni. La prima è questa: è scontato che bisogna essere coerenti; diciamo sempre che si educa con l’esempio più che con le parole, diciamo sempre che bisogna vivere quanto viene proposte a parole; se non c’è coerenza con quanto si dice, si è nell’ipocrisia più o meno sfacciata. La seconda riflessione che nasce dalla pagina evangelica diventa un quesito angoscioso: ci potrà mai impegnarsi a comunicare e testimoniare valori morali? Chi, se non viene da Dio, vive pienamente certe verità, queste verità? Quale educatore tra noi, insegnante, genitore, prete, può dire: “Io vivo quello che dico”? La sua ammissione passa dalla sfrontatezza alla perplessità, e qualcuno potrebbe anche dire: “Tanto vale allora essere qualunquista: se i valori da annunciare non possono essere vissuti pienamente, è inutile che noi questi valori li annunciamo, li consideriamo traccia per un impegno di vocazione vicendevole”. Se nessuno può essere maestro, se nessuno può essere padre, come correggerci a vicenda? Tanto vale chiuderci in un egoismo esasperato, anche perché a questa conseguenza ne seguirebbero altre due: la prima è quella di entrare in ansia, perché si tratta di annunciare qualcosa che poi di fatto non è pienamente vissuto nemmeno da noi; la seconda è quella dell’ipocrisia, perché per risultare credibili, per non essere smentiti sulla validità di quello che facciamo, dobbiamo avere una faccia esteriore di educatori che non corrisponde alla nostra faccia reale. Di fatto è frequente questa bilateralità. Da un lato chi si presenta come maestro è ipocrita, è come gli scribi e i farisei del Vangelo, dall’altro chi dice che nessuno può giudicare né improvvisarsi educatore, lascia che si faccia quello che si può, e così i nostri giovani crescono senza riferimenti. In realtà, tutte queste problematiche possono essere felicemente superate, se ricordiamo ancora una volta che non si tratta di partire da noi, se ci ricordiamo ancora una volta che il centro per la comunicazione di vita e per la testimonianza di valori non dobbiamo essere noi ma l’unico Dio, l’autentico Padre, il vero Maestro, quel Cristo redentore di ciascuno. Se vinciamo l’egocentrismo, se andiamo alla logica della fede, se non siamo innanzitutto preoccupati di quello che siamo noi, ma siamo prima di ogni cosa attenti ad accogliere il Signore così come egli si dona, se facciamo tesoro della comunicazione che il Signore come redentore stabilisce con noi, allora anche noi come san Paolo siamo così contenti di vivere, da avere un grande desiderio di donare il bene che conosciamo, anzi di donare la nostra stessa vita, ben sapendo che non siamo perfetti, ma ben sapendo che siamo redenti, ben sapendo che non siamo maestri, ma ben sapendo che abbiamo ricevuto e possiamo partecipare una verità meravigliosa. Se il Signore ci viene incontro, non è vero che la vita è una confusione nel relativismo; se il Signore ci viene incontro, non è vero che dobbiamo fare spallucce di tutto e dobbiamo vivere nel qualunquismo; se il Signore si dona a noi e il nostro maestro entra in comunione con ciascuno di noi, allora l’alternativa non è più quella di rinunciare alla comunicazione, oppure viverla come un’ansia, che oltretutto è quanto di più vigoroso ci sia per annullare l’efficacia con i nostri ascoltatori, perché non dobbiamo contare su noi stessi, né sulla immagine, vera o falsa, di noi stessi. Noi dobbiamo essere dei testimoni, non dei maestri. Accogliendo lui, ciascuno di noi può essere testimone. Riconoscendo lui, ciascuno di noi può vivere come fratello verso gli altri. Non dobbiamo dire: “Devi fare questo perché io lo vivo pienamente”, ma dobbiamo dire: “Insieme aiutiamoci a fare questo, perché agendo così, entrambi possiamo progressivamente a una vita più autentica”. Non dobbiamo affermare: “Guarda che io ho il potere di essere padre! Guarda che tu devi riconoscermi come maestro!”, ma dobbiamo dire: “Proviamo a pregare insieme da figli di Dio , proviamo a farci insieme alunni della parola di Dio! Ascoltami, perché io posso essere testimone non della mia virtù, ma della redenzione che il Signore offre a me e a te!” Se così facciamo, allora ci