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LE SESSANTA PREDICHE DI DON ISIDORO - Don Isidoro Meschi

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XVª DOMENICA “PER ANNUM”<br />

La parola di Dio rivela la sua fecondità se la accogliamo nella nostra vita<br />

Is 55,10-11<br />

Rm 8,18-23 15 luglio 1990<br />

Mt 13,1-23 chiesa di san Giuseppe<br />

Ascoltate bene, fratelli ciò che dice il Signore: “Come la pioggia e la neve scendono dal<br />

cielo e non vi ritornano senza aver irrigato il terreno … così sarà della parola uscita dalla mia<br />

bocca”.<br />

L’annuncio è davvero bellissimo: la parola di Dio è feconda, raggiunge la nostra storia, la<br />

nostra terra, si rivolge alle nostre coscienze, penetra nei nostri cuori, interpella le nostre intelligenze<br />

ed è una parola veramente capace di fecondità, di rinnovamento, di salvezza e redenzione perfette.<br />

Quindi la prospettiva della vita umana, giudicata alla luce di una fede riscoperta nella<br />

consapevolezza della fecondità della parola di Dio, è una prospettiva che non può non tradursi nel<br />

giubilo più profondo e che non può non produrre quello che abbiamo letto nel salmo: “Tutto canta e<br />

grida di gioia”:<br />

C’è però un problema: noi desideriamo la fecondità di questa Parola? Noi prendiamo sul<br />

serio questo entrare di Dio nella nostra vita, questo raggiungerci del verbo di Dio?<br />

Magari anche noi siamo davvero come la strada: abbiamo anche noi indurito il cuore,<br />

abbiamo chiusi gli occhi. Siamo in chiesa, però quello che viene proclamato, non è minimamente<br />

compreso da noi. Si potrebbe anche fare un esperimento un po’ cattivo: interrogare ciascuno di noi<br />

all’uscita dalla Messa circa la Parola che ci è stata proclamata. Spesso, non soltanto dobbiamo<br />

riconoscere di non esserci convertiti al messaggio, ma neppure di avervi prestato ascolto e di avervi<br />

posto un minimo di attenzione.<br />

Probabilmente però spesso siamo come il terreno poco profondo, in quanto, se si pone un<br />

poco di ascolto alla parola di Dio, non la si può non riconoscere incommensurabilmente più grande,<br />

più alta, più profonda e più perfetta di qualsiasi altra comunicazione e proclamazione.<br />

E può darsi che, magari nei nostri anni giovanili, qualche volta abbiamo avuto e sentito<br />

risposte intense, vive. Entusiaste, però ci siamo limitati ad un rapporto di emozione con il<br />

messaggio di Dio. Non abbiamo pensato che la Parola è incarnazione, che quella luce non è un'oasi,<br />

ma è il quotidiano che ci può trasformare in profondità, non l’eccezione ma la continuità della<br />

nostra vita. Ed ecco che, magari, ci sorprendiamo con queste confessioni: “Oh, si, una volta anch’io<br />

sono stato vivo. Da ragazzo ero sempre in chiesa, e poi all’oratorio: Anche al gruppo giovanile ero<br />

tra gli impegnati, ma andando avanti nella vita, ne ho ricevute troppe! Ho avuto anche dei mali<br />

esempi proprio dove non me l’aspettavo e ne sono rimasto scandalizzato …”. Ecco la parola<br />

accolta, ma che non ha messo radici; ecco la vita che è stata vicina alla possibilità di diventare un<br />

cammino vivificato da un rapporto che genera libertà e gioia, e che è diventata una vita turbata,<br />

bloccata,immalinconita dal peso delle persecuzioni che sono diventate scandalo.<br />

Può darsi invece che noi siamo come la pianta di rovi, che riceve il seme tra le sue spine:<br />

può darsi cioè che, tutto sommato, prendiamo sul serio la fede; ci rendiamo conto che la fede non è<br />

evasione, non è un'oasi, non è una specie di momento in cui abbandonarsi alle emozioni; ci<br />

rendiamo conto che la fede è una proposta, un’occasione di elevazione per la continuità e la<br />

normalità dell’esistenza, ma abbiamo timore di un sì totale, di un salto vero dalla logica dei nostri<br />

timori alla logica, alla profondità, alla chiarezza e al coraggio della parola divina, della rivelazione<br />

divina.<br />

Ascoltiamo la parola divina, non la scambiamo per una vicenda destinata a risolversi in<br />

qualche momenti di entusiasmo, ma rimaniamo pur sempre preoccupati della vita, perché<br />

continuiamo a misurare la vita secondo noi stessi, non secondo il Verbo di Dio che ci ha raggiunti:<br />

rimaniamo abbagliati dalla logica delle ricchezze viste in se stesse, non rapportate al Dio di ogni<br />

vita, di ogni ricchezza, di ogni libertà.

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