LE SESSANTA PREDICHE DI DON ISIDORO - Don Isidoro Meschi
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IVª DOMENICA <strong>DI</strong> QUARESIMA<br />
Viltà ed orgoglio impediscono che la fede sbocci e rifulga a gloria di Dio<br />
Es 34,28-35 Domenica del Cieco nato<br />
2 Cor 3, 7-13.17-18 25 marzo 1990<br />
Gv 9,1-41 chiesa di san Giuseppe<br />
Il tema della liturgia della parola in questa quarta domenica di Quaresima è l’incontro con<br />
l’inviato di Dio: C’è un uomo che non vede; c’è del fango, che per la simbologia biblica rappresenta<br />
un pochino l’uomo; un uomo è la creatura che viene lavata nella piscina dal nome profetico, che<br />
significa Inviato. Dopo il lavacro nella piscina, ecco che l’uomo vede, e vede fino alla fede, fino alla<br />
testimonianza. Quell’uomo incontra Gesù e vede. Quell’uomo è andato alla piscina e crede.<br />
Ciascuno di noi potrebbe essere quell’uomo. Ciascuno di noi, come ci spiega bene san Paolo<br />
nella seconda lettura, dovrebbe avere un viso raggiante, comunicare cioè con la sua esistenza la<br />
chiarezza del cammino, proclamare che, attraverso l’immagine di Dio, ogni mistero della vita, lungi<br />
dal rimanere un peso per l’uomo, diventa occasione del cammino verso Dio. La Quaresima è il<br />
periodo nel quale siamo stati chiamati a scoprire il nostro battesimo. Anche noi, con la nostra<br />
umanità peccatrice, siamo andati nell’acqua divina, perché l’inviato divino ha potuto autorizzare la<br />
comunità cristiana, attraverso i genitori, a donarci il battesimo e a dire nel battesimo: “Nel nome del<br />
Padre, del Figlio, dello Spirito Santo”. La Quaresima ci è donata perché noi posiamo diventare, per<br />
il mistero della grazia, forti di quella speranza per la quale comportarci con molta franchezza (2 Cor<br />
3,12), possiamo testimoniare che il Signore è diffuso nei nostri cuori e che con il suo Spirito c’è<br />
libertà (2 Cor 3,17), possiamo perciò percorrere le strade di Dio fino ad essere lo specchio della<br />
gloria del Signore.<br />
Com’è grande il mistero della giustizia nel quale ciascuno di noi è stato inserito, nel quale<br />
ciascuno di noi, ritornando al momento della sua fede, confessando la remissione dei peccati, in<br />
particolare attraverso i sacramenti pasquali, può in pienezza attingere, perché davvero esiste una<br />
luce nella quale noi possiamo vedere oggi. Che cosa succede, però? Gesù è l’inviato tra i Giudei, il<br />
cieco vede, ma gli altri continuano a non credere. Perché? Per due motivi: la viltà e l’orgoglio.<br />
La viltà è raffigurata dai genitori. Essi sono terribili. Dovrebbero esprimere nella maniera più<br />
illuminata ed entusiasta la gioia, la riconoscenza. Il loro figlio, che mai aveva visto, ora vede; il<br />
loro figlio, che aveva finora incontrato persone che al massimo potevano dargli un pio’ di<br />
elemosina, adesso ha incontrato Colui che lo ha inserito nella consapevolezza, nel valore, nella luce<br />
dell’esistenza. Loro, invece di misurarsi con la luce che viene da Dio, invece di riflettere la luce<br />
del cammino che il Signore presenta loro, guardano i piccoli potenti di turno, coloro che hanno in<br />
mano la sinagoga e non vogliono riconoscere il Messia. Potrebbero, attraverso il figlio loro,<br />
riconoscere il Messia e invece, in un certo senso, rifiutano anche il rapporto col figlio.<br />
L’altro ostacolo è rappresentato dall’orgoglio, tipico di coloro che credono di vedere già. Se<br />
ci pensiamo bene, l’orgoglio non è molto diverso dalla viltà, è la forma più raffinata di viltà. Chi è<br />
infatti la persona orgogliosa? Colei che ha paura di crescere; colei che ha paura di imparare ancora;<br />
colei che teme di vedere la giustizia più grande della propria viltà, la grazia più grande delle proprie<br />
prospettive e dei propri programmi. Ecco perché gli uomini della sinagoga, pur conoscendo la<br />
parola dei profeti, non possono accogliere il Messia; si fermano alla realtà di Mosè, della quale<br />
tuttavia non comprendono nulla, perché Mosè era profeta di Dio e Dio mediante lui sviluppava la<br />
sua rivelazione. Finché uno annuncia la verità parziale è accolto, ma quando arriva Colui che<br />
annunzia la verità totale, si risponde: “Costui non sappiamo di dove sia” (Gv 9,29). In questo modo<br />
il giudizio di Dio, che non è per la condanna ma per la vita (Gv 3,17), il giudizio di Dio che ha tanto<br />
amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito perché chi crede non muoia ma abbia la vita eterna<br />
(Gv 3,16), diventa sentenza terribile di esclusione.<br />
Fratelli, siamo convinti della grandezza di essere cristiani? Siamo raggianti di verità, della<br />
verità che ci viene dal Signore? Siamo gioiosi e riconoscenti per il fatto di essere raggiunti dal