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raccolta rassegna storica dei comuni vol. 4 - anno 1972

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Avignone gionse ad Viterbo Gilio Cardinale de Spagna et acquistò Viterbo per la<br />

Chiesia et molte altre terre, et el dicto Cardinale de Spagna ad dì 26 de luglio fe<br />

principiare la Rocca de Viterbo, et segnolla de sua mano dove stava el palazzo de<br />

Messer Campano e la Porta de S.ta Lucia, et el Cardinale dicto pose la prima pietra».<br />

Il cardinale Albornoz parimenti esperto sia di politica che dell'arte della guerra fece le cose<br />

proprio sul serio ed eresse una fortificazione di prim'ordine; la competente serietà del suo<br />

impegno ebbe del resto riconferma, un decennio dopo, con la costruzione da lui <strong>vol</strong>uta di<br />

un'altra Rocca nella città di Spoleto. Questo cardinale, che può essere considerato il<br />

capostipite degli alti prelati guerrieri del tempo (come, ad esempio, il Vitelleschi ed il<br />

Fortiguerri), durante il periodo avignonese meritò ampiamente la qualifica di benemerito<br />

del papato, in quanto riconquistò ad esso numerose terre e città: la Rocca di Viterbo<br />

costituì, infatti, il segno tangibile del ripristino del dominio papale sul territorio viterbese.<br />

Anche se i tre papi che servì non gli dimostrarono molta gratitudine quando egli era in vita,<br />

il terzo di essi, Urbano V (altro pontefice francese come Clemente VI), esaudì il desiderio<br />

che l'Albornoz aveva a lungo espresso: avere sepoltura, una <strong>vol</strong>ta morto, nella sua terra<br />

natia. Allorché il battagliero cardinale cessò di vivere, proprio a Viterbo nell'agosto del<br />

1367, il papa ordinò che la sua salma fosse trasportata a Toledo e, forse per evitare che<br />

l'Albornoz costasse troppo anche da morto al Patrimonio di S. Pietro, concesse<br />

un'indulgenza straordinaria a tutti coloro che avessero contribuito al trasporto funebre.<br />

Pur senza indulgere a superstizioni immarcescibili, si deve ritenere che la non buona<br />

stella della fontana, cui abbiamo accennato all'inizio di queste brevi note, abbia brillato<br />

con luce parimenti nefasta anche sulla vicina Rocca. Dopo appena otto anni dalla morte<br />

dell'Albornoz, secondo il racconto del già citato D'Andrea «Nel dicto <strong>anno</strong> (1375) li<br />

Priori del Populo de Viterbo appianorno in palatio con gran trionfo col Gonfalone del<br />

Populo et cusì de tucto pigliorno la signoria ... et a dì de dicto mese (decembre) fu<br />

pigliata la rocca de Viterbo per forza et fu scarcata da Viterbesi». Nel 1395, però,<br />

riconfermato il dominio papale sul territorio viterbese, per iniziativa di papa Bonifacio<br />

IX (il versatile prelato napoletano, appartenente alla famiglia Tomacelli, il quale tenne<br />

la tiara per ben quindici anni, durata record per quei tempi) la Rocca risorse ancora più<br />

imponente. Nicola Della Tuccia, altro cronista locale, così ricorda lo avvenimento:<br />

«Avendo Bonifacio (IX) il dominio di Viterbo, ordinò di levar la Rocca in alto, appresso<br />

a porta di S. Lucia e la rimise in fortezza con gran fabbrica ... costò alla Camera di<br />

Roma diecimila ducati senza l'opere de Viterbesi. Ciascuno aiutava perché il Papa ci<br />

aveva messo molte perdonanze».<br />

La Rocca di Viterbo era evidentemente destinata, ed in questo seguiva la sorte della<br />

fontana che gli zampillava di fronte, ad avere vita tutt'altro che tranquilla in quanto le<br />

sue <strong>vol</strong>te risuonarono molto più spesso del fragore <strong>dei</strong> crolli e del successivo cigolio<br />

degli argani <strong>dei</strong> ricostruttori che non <strong>dei</strong> canti sia pure militareschi <strong>dei</strong> suoi occupanti.<br />

Ciò dipese dal fatto che essa costituiva il primo obiettivo, diremmo quasi quello d'obbligo,<br />

<strong>dei</strong> vari tirannelli locali i quali, dopo la partenza di Urbano V, furono protagonisti<br />

di sanguinose lotte interne che si concludevano con l'instaurazione di effimeri domini, il<br />

cui simbolo era sì il possesso della Rocca ma che in realtà si identificava con l'avere<br />

mano libera per scorrerie e saccheggi a d<strong>anno</strong> della parte soccombente. Tale caotico<br />

stato di cose venne a cessare sotto il pontificato di Eugenio IV, il quale concesse a Giovanni<br />

Vitelleschi, altro famoso cardinale guerriero, carta bianca purché riportasse alla<br />

calma gli intemperanti e violenti signorotti locali. Il cardinale, anche perché nativo di<br />

Corneto, ben conosceva il carattere <strong>dei</strong> Viterbesi e ritenne che la maniera forte fosse<br />

l'unica idonea per indurli finalmente alla ragione: con mezzi quanto mai sbrigativi,<br />

anche se poco consoni alla sua porpora cardinalizia, sgombrò il territorio dai mestatori<br />

di ogni colore politico e riportò la città sotto la signoria del papato.<br />

La Rocca, e sarebbe stato strano se fosse accaduto diversamente, fu la vittima più<br />

illustre di questa particolare opera di ... bonifica ambientale; nel 1438, per ordine del<br />

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