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raccolta rassegna storica dei comuni vol. 4 - anno 1972

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LA BADIA DI POMPOSA<br />

GIOVANNI FRANCESCHINI<br />

Un operoso ed intelligente concittadino, il quale ha la bella ventura di possedere una<br />

grossa tenuta di campi ubertosi presso Codigoro, in quel di Ferrara, mi aveva più <strong>vol</strong>te<br />

ripetuto con gentile insistenza: «Venga a Codigoro e visiteremo insieme la meravigliosa<br />

Abbazia di Pomposa, un gioiello dell’arte medioevale».<br />

Il viaggio attraverso la monotona pianura padana non mi seduceva affatto, né la gentile<br />

insistenza dell’amico valeva a vincere la mia inesplicabile ritrosia. Proprio in quel torno<br />

di tempo io avevo visitato per ben due <strong>vol</strong>te, quasi di seguito, l’abbazia di Praglia, così<br />

piena di ricordi fogazzariani, così satura di fascino nei chiostri solenni e di mistica<br />

poesia nelle pietre del pozzo e <strong>dei</strong> lavabi istoriati, così finemente cesellata e bulinata da<br />

pazienti mani di frati nel bellissimo refettorio di legno scolpito. E quasi mi pareva che<br />

visitando l’abbazia di Pomposa io avrei in certo modo sfrondata di qualche dolcezza<br />

l’impressione che ancora mi palpitava nell’anima e negli occhi, per la visione deliziosa<br />

della mirifica cattedrale padovana che ad Antonio Fogazzaro aveva ispirato alcune delle<br />

sue pagine migliori; così come alla elegante Jeanne Desalle e al causeur Carlino aveva<br />

messo in bocca un brillante ed arguto dialogo di esteti raffinati. Né la corsa in<br />

automobile attraverso la uniforme pianura del Po fu pronuba agli entusiasmi estetici in<br />

quella uggiosa e malinconica mattina di primavera incipiente, sotto un cielo livido e<br />

corrucciato, con il paesaggio giallognolo e limaccioso per recenti inondazioni, con i<br />

campi cosparsi qua e là di larghe pozze d’acqua torbida da cui sbucavano fuori scheletri<br />

di alberi e ciuffi d’erbe e zolle di terreno argilloso. Ma il cielo fu benigno e quando<br />

giungemmo davanti all’abbazia di Pomposa un raggio di sole squarciò le nubi, inondò<br />

l’aria di una bionda luce, animò la campagna assonnata, av<strong>vol</strong>se in un’atmosfera d’oro il<br />

campanile ed il tempio austero. Sotto l’improvvisa carezza di Frate Sole la vetusta<br />

cattedrale pareva ridestarsi e sfolgorare in tutta la sua austera bellezza come una visione<br />

fantastica in un mondo di nebbia.<br />

Il tempio di Pomposa, come la cattedrale di San Marco, fiorì nel grembo d’una pigra<br />

laguna, in un labirinto di piccole isole, di fronte all’adriaca marina. Ma l’isola non era<br />

squallida e triste come quelle della laguna di Venezia, ché il risonante Adriatico cantava<br />

intorno a Pomposa ondose canzoni di opale e di smeraldo e nelle giornate di burrasca ne<br />

flagellava il lido ridente di un verde lussureggiante e spruzzava la polvere iridescente<br />

delle sue acque sui boschi, sulle pinete ombrose, sulle cupole di vetusti alberi. Intorno a<br />

Pomposa rideva la pianura sconfinata, fertilissima, alma parens di messi abbondanti e di<br />

pingui mandrie in un clima saluberrimo. E quando - come Zanella disse di Venezia -<br />

alla sua donna il mar fu fatto infido, l’alga sul fondo apparve, e l’isoletta fu lentamente<br />

congiunta alla terra ferma in seguito ad una sistemazione naturale del corso delle acque,<br />

dalle terre vicine pochi pastori vennero con le loro greggi a quei vergini pascoli.<br />

Passarono molti anni e fra quella gente primitiva si diffuse un giorno la voce che un<br />

gruppo di pochi eremiti in quel lembo di terra fertilissima a nord del Po aveva costruito<br />

accanto alle celle un modesto altare. Dal pacifico romitaggio e dall’umile sacello ebbe<br />

così origine, nella pace silenziosa d’una terra sperduta in riva alle lagune, l’attuale<br />

Pomposa. Nel IV secolo essa era ancora una modesta casa di Dio, ma la grande fede ed i<br />

mistici sogni degli eremiti la popolarono ben presto di immagini di angeli e di madonne.<br />

Solo verso il sesto secolo quella prima modesta costruzione divenne un monastero vero<br />

e proprio dove in squallide celle i pochi frati conducevano vita mistica. E Pomposa fin<br />

da allora cominciò ad essere asilo di carità, meta di pellegrinaggi e, più tardi, sosta<br />

desiderata di artisti e di poeti, di personaggi illustri e di imperatori. Intanto le bellezze<br />

artistiche unite a quelle naturali andavano trasformando lentamente quell’umile chiesa<br />

originaria in un grandioso santuario. Come la oliva speciosa in campis, l’abbazia<br />

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