Svar Numero 5 - Lettere e filosofia
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dunque priva di qualsiasi valore biologico. Per<br />
spiegare questa reazione ci vengono incontro<br />
motivazioni molto più antropologiche che<br />
scientifiche, in quanto nonostante oggi la musica si<br />
trovi relegata nel vago recinto dell’intrattenimento,<br />
nelle società primitive la sua pratica era legata alle<br />
esigenze primarie quali sesso e cibo, poiché era<br />
utilizzata in tutti i rituali come quelli di caccia e di<br />
iniziazione. Per molto tempo si è sostenuto che il<br />
linguaggio attivasse l'emisfero cerebrale sinistro e<br />
la musica quello destro; ma non è corretto<br />
considerare quest'ultima, all'interno della sua ampia<br />
polivalenza, una effettiva forma di linguaggio? Lo<br />
è, certo che lo è. E di conseguenza i diversi<br />
elementi che la compongono (tono, ritmo, melodia,<br />
armonia, ecc..) si distribuiscono su entrambi gli<br />
emisferi cerebrali. Il cervello è però in grado di<br />
"riconoscere" la musica e la reazione è diversa da<br />
altri stimoli uditivi, come voci o rumori. Non<br />
risultano invece differenze fra le reazioni cerebrali<br />
stimolate da una sinfonia di Beethoven, una<br />
canzonetta o una musica proveniente da una cultura<br />
completamente diversa da quella dell'ascoltatore.<br />
Un altro studioso infatti, Steven Demorest<br />
dell'Università di Seattle, usando la risonanza<br />
magnetica dimostrò che un'antica melodia cinese<br />
produce nel cervello degli ascoltatori la stessa<br />
risposta provocata da un brano di tipologia classica.<br />
Il pentagramma si conferma così territorio proprio<br />
di un linguaggio ed un'esperienza universale<br />
accessibile a tutti, anche dal punto di vista<br />
fisiologico.<br />
E' purtroppo vero però che, in tempi come quelli<br />
che oggi stiamo attraversando, questo quadro<br />
idilliaco tracciato da brillanti personalità del<br />
pensiero e della scienza umana sta perdendo<br />
sempre più la sua aderenza con la realtà del<br />
quotidiano. Nell'epoca del profondo materialismo<br />
di cui siamo impregnati fino al midollo, anche la<br />
musica è finita per diventare un autentico business:<br />
un prodotto da lavorare, modellare e confezionare<br />
secondo precise e severe regole di mercato. La<br />
materia prima, ovvero il brano musicale, sembra<br />
quasi essere relegato ad un piano d'importanza<br />
secondario, letteralmente sommerso dalla vorticosa<br />
giostra della promozione e della propaganda, sulle<br />
quali le case discografiche scelgono ormai di<br />
puntare con decisione in modo da far quadrare i<br />
bilanci, a maggior ragione dopo l'avvento di<br />
internet (ed in particolare del file sharing) ed il<br />
conseguente crollo della vendita al dettaglio dei<br />
dischi. Già, l'economia: una materia con la quale la<br />
musica, in base ai discorsi fatti precedentemente,<br />
dovrebbe avere veramente poco a che fare, e che<br />
invece ha finito per coinvolgere in maniera netta<br />
anche il mondo delle sette note, portandolo in<br />
breve tempo ad un'immagine di declino. La perdita<br />
di sincerità è ciò che più di tutto mi spaventa<br />
all'interno di questa sorta di percorso di negligenza:<br />
nel momento in cui un artista non compone più per<br />
esprimersi, per soddisfare in lui quel bisogno<br />
innato che lo rende tutt'uno in via trascendentale<br />
con la propria “quarta dimensione”, e finisce per<br />
piegare la sua arte alle esigenze del pubblico, ecco<br />
che la musica smarrisce la specialità della sua<br />
natura; bistrattata, umiliata e calpestata proprio da<br />
coloro che più dovrebbero curarla. Ovviamente non<br />
è mia intenzione generalizzare e far così di tutta<br />
l'erba un fascio: il presente (per fortuna) è ancora<br />
colmo di musicisti per così dire “onesti” e degni di<br />
tale nome che, godendo di una maggiore o minore<br />
visibilità, operano indistintamente guidati<br />
dall'ardente fiamma della propria passione, che li<br />
conduca al buio di una piccola camera o sotto<br />
l'accecante luce dei riflettori di un palco. Il tutto<br />
sta, ovviamente, nel saperli riconoscere in modo da<br />
poter attribuire ad ognuno i suoi giusti meriti.<br />
Come già accennato in precedenza, rimarcando il<br />
carattere universale delle sette note non ci si può<br />
non soffermare sul valore comunicativo che<br />
impreziosisce ulteriormente la loro natura,<br />
rendendo la musica un vero e proprio linguaggio<br />
con le carte in regola. Così come le lingue degli<br />
uomini, essa si avvale di una parte fonica e di un<br />
particolare tipo di grafia, che però salvo casi<br />
eccezionali (come ad esempio la genialità di<br />
Beethoven, che anche privato dell’udito riuscì a<br />
scrivere ciò per cui oggi viene ricordato come<br />
probabilmente il miglior compositore di tutti i<br />
tempi) incarna solo una funzione di supporto nei<br />
confronti della prima, verso cui risulta quasi del<br />
tutto dipendente. Il linguaggio parlato è indirizzato<br />
alla frazione più consapevole del nostro cervello,<br />
quella appunto che si esprime con la parola, che<br />
funge da interprete tra noi e gli altri, e tra la parte<br />
implicita e quella esplicita del nostro essere. La<br />
musica è invece il mezzo creato per dettare dei<br />
sentimenti nell’ascoltatore, utilizzando a questo<br />
fine la frazione inconsapevole del cervello.<br />
Possiamo affermare che non esiste una maniera