Svar Numero 5 - Lettere e filosofia
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Multinazionali: avidità di pochi,<br />
povertà di molti<br />
Pullano Luigi<br />
I<br />
n campo economico la globalizzazione<br />
indica la graduale abolizione delle<br />
barriere commerciali, ovvero l'aumento<br />
degli scambi commerciali tra le<br />
nazioni. Con lo stesso termine si indica<br />
anche l'affermazione del fenomeno delle imprese<br />
multinazionali nello scenario dell'economia<br />
mondiale: in questo ambito si fa riferimento sia<br />
alla delocalizzazione di una o più fasi produttive<br />
che alla tendenza delle stesse a conquistare più<br />
mercati. Multinazionale può essere considerato un<br />
termine relativamente recente, legato da un lato al<br />
controllo di materie prime da parte di un numero<br />
sempre più ristretto di soggetti, dall’altro<br />
all'espansione del commercio nel mondo e alla<br />
recente esplosione di nuovi settori quali il terziario<br />
e il terziario avanzato. Una realtà in continuo<br />
divenire, frutto dei processi economici e sociali<br />
iniziati nell'Ottocento con la rivoluzione<br />
industriale e il capitalismo, evolutisi con<br />
l’allargamento dei mercati dopo il secondo<br />
conflitto mondiale.<br />
La mia tesi è che la globalizzazione causerebbe un<br />
impoverimento maggiore dei paesi poveri,<br />
attribuendo sempre più potere alle multinazionali.<br />
Quest’ultime favoriscono lo spostamento della<br />
produzione dai paesi più industrializzati a quelli in<br />
via di sviluppo, zone franche in cui tutti i diritti<br />
umani non sono garantiti e dove i salari sono più<br />
bassi. Il tutto senza dare reali benefici alla<br />
popolazione del posto, anzi distruggendone buona<br />
parte dell'economia locale . Anche gli attivisti del<br />
movimento new-global precisano però che non<br />
sono contro la globalizzazione ma per un diverso<br />
modello di essa, più solidale, che tenga più conto<br />
delle diversità culturali e non cerchi di omologare<br />
tutto il pianeta sul modello occidentale. È molto<br />
criticato il fatto che sia stata attuata in modo<br />
selvaggio senza assumere, dentro i criteri del<br />
commercio internazionale, un limite allo<br />
sfruttamento delle risorse umane e ambientali, il<br />
cosiddetto sviluppo sostenibile, anche perché<br />
spesso le aziende delocalizzano solo per un breve<br />
periodo e poi delocalizzano di nuovo dove costa<br />
ancora meno, quindi non hanno interesse alla<br />
tutela dell'ambiente in loco né all'armonia tra le<br />
parti sociali, alle quali guardano da una<br />
prospettiva simile a quella dei colonialisti dell'età<br />
preindustriale.<br />
L’Africa, a dispetto dei soliti luoghi comuni, è un<br />
continente ricchissimo, fortemente legato al ruolo<br />
di produttore di materie prime di cui però non<br />
controlla, in alcun modo, i mercati. Stiamo<br />
parlando di petrolio, diamanti, oro, cobalto<br />
(indispensabile per la fabbricazione dei nostri<br />
amati cellulari), uranio, platino e molto altro.<br />
Eppure, come scrive il giornalista Carrisi, oltre a<br />
non portare ricchezza agli abitanti autoctoni,<br />
queste risorse sembrano davvero maledette per<br />
l’Africa perché causa di guerre sanguinose<br />
manipolate da interessi stranieri: vedi il caso della<br />
Sierra Leone dove, per la conquista dei giacimenti