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THESAURUS LITTERARUM LITTERARUM - AbleMedia

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82 L’età cesariana (78-44 a.C.)<br />

Sono tradotti da G.B. Pighi in: Il libro di Valerio Catullo e i frammenti dei «Poeti nuovi»,<br />

a cura di G.B. Pighi, Torino 1974, i seguenti Carmi: XI; XXXIX; XL; XLIII; LXVIII; LXXII; LXXVII;<br />

LXXXVII; XCII; CIX, rispettivamente alle pagg. 102-103; 156-157; 158-159; 164-165; 278;<br />

279, passim; 280; 281, passim; 282-283, passim; 284-285; 286-287, passim; 290-291;<br />

306-309; 332-333; 342-343; 376-377. La traduzione degli altri Carmi riportati nell’antologia<br />

è invece a cura dell’autore. Per tutti i Carmi prescelti il testo seguito è quello adottato<br />

dal Pighi.<br />

Che dalla sorte e dalla sventura oppresso anzi tempo, mi mandi, scritto con le<br />

lagrime, questo biglietto, perché te naufrago, sbattuto dal mare al lido tra le<br />

spume della risacca, io rialzi e dalla soglia della morte riconduca in salvo, ché<br />

l’inviolabile Venere il molle riposo del sonno a te, deserto, nel celibe letto, non<br />

più concede, e col dolce canto dei vecchi poeti le Muse non ti ricreano, quando<br />

l’anima s’angoscia nella lunga veglia: questo m’è caro, dacché tu mi chiami tuo<br />

amico e i doni delle Muse mi chiedi e di Venere. Ma perché a te non siano ignote<br />

le mie pene, Allio mio, e tu non creda ch’io abbia in uggia il mio dovere d’ospite,<br />

apprendi da quali flutti della sorte sono sommerso io stesso: che tu non<br />

voglia a un infelice chiedere doni felici.<br />

Nel tempo che avevo appena ricevuto la toga bianca, quando l’età fiorita passava<br />

la primavera sua bella, non pochi versi composi, d’amore: mi conosce<br />

bene la dea che dolcezza mesce nella passione e amarezza; ma il pensiero di<br />

queste cose, tutto, nel pianto per mio fratello, la morte m’ha rapito. Oh, fratello<br />

tolto a me infelice, tu a me, tu con la tua morte spezzasti la mia felicità, fratello,<br />

con te, con te, tutt’intera è sepolta la nostra famiglia; tutte con te, con te, sono<br />

finite le nostre gioie, cui tu, mentr’eri in vita, nutrivi e il tuo dolce amore: e io, alla<br />

tua dipartita, da tutta l’anima discacciai questi pensieri e ogni diletto dello spirito.<br />

Per questo, quanto a ciò che mi scrivi «A Verona è brutto, Catullo, restare, quando<br />

qui ogni giovane della migliore società è solito riscaldsare le fredde membra<br />

nel deserto letto», questo, Allio mio, non è brutto, no, è triste. Mi perdonerai dunque,<br />

se, poiché mi tolse di riceverli, non ti destìno questi doni: non sono più<br />

buono a nulla. E poi, di poeti, ce n’ho pochi con me: questo, perché vivo a<br />

Roma: là ho casa, là ho dimora, là si consuma la mia vita; qua, di molte, una<br />

sola cassettina di libri mi segue. Stando così le cose, non voglio che tu pensi a<br />

grettezza nel mio contegno, o ad animo poco sincero, se nessuna delle due<br />

cose che chiedi, t’è messa innanzi: per me, t’esibirei anche di più, se solo mi<br />

fosse possibile.<br />

Ma non posso tacere, o dee, in qual frangente Allio m’aiutò e con quanti servigi<br />

m’aiutò. E non, fuggendo nei secoli obliosi, il tempo copra di cieca notte questo<br />

affetto di lui: ma io lo dirò a voi, via via ditelo voi a mille e a mille, e fate che questa<br />

carta parli, fatta vecchia, e da quei mille e mille facilmente, mentr’è in vita,<br />

sia conosciuto, e cresca in fama sempre più, dopo morte, e sempre più; e non<br />

il ragno, che tesse in alto la tenue tela, sul nome d’Allio, deserto, faccia il suo<br />

lavoro.

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