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Rientra in questo tipo di casualità anche il suicidio. Fino all’eccesso,<br />
che riporta casi di interi nuclei– o interi gruppi all’interno delle famiglie:<br />
tutti i maschi, tutte le femmine, tutti i primogeniti etc…– distrutti dalla<br />
stessa patologia che sì, può avere carattere di ereditarietà, ma che nello<br />
specifico si ripropone identica a quella di partenza, che può essere stata<br />
di una nonna, di una madre, di qualcuno che si trovi alla base o sui rami<br />
più bassi dell’albero genealogico. Qualcuno la cui morte, per qualche<br />
strano motivo, lascia una traccia indelebile– forse perché frutto di una<br />
precedente maledizione familiare– tanto da riapparire nella discendenza,<br />
potenzialmente immutata.<br />
L’aggravante, nelle storie di questo tipo e in particolare in quella<br />
da me inventata, è quando a fare le spese di atteggiamenti negativi o<br />
violenti sono creature innocenti e del tutto estranee agli elementi inclini<br />
alle maledizioni. Lola, la protagonista del romanzo, rappresenta il capro<br />
espiatorio di una violenza che non termina con la coltellata sferratale da<br />
Frankye Morris, che le toglie la vita– e il cuore–, ma continua per cento<br />
anni– ho scelto un periodo di tempo da fiaba– con il passaggio del suo<br />
cuore di padre in figlio da parte dei Morris, senza che nessuno di loro<br />
pensasse soltanto per un attimo al proprietario d’origine di quel cuore e<br />
si decidesse a restituirlo. E questa non è forse violenza?<br />
Qui arriva lui. Nathan incarna il cambiamento. In lui risiede lo spirito<br />
dell’eroe. Non un eroe predestinato, non scelto dagli dei, non armato<br />
e pronto alla battaglia. Si tratta di un prode inconsapevole, un paladino<br />
che col suo personale sacrificio, caricandosi cioè di un peso che in fine<br />
gli diventerà insostenibile, cambia il destino e guarisce il passato. Amo<br />
moltissimo Nathan Morris.<br />
Nella fiaba di quattro anni fa egli non pagava un prezzo tanto alto,<br />
per la sua purezza. Il lieto fine, però, pur regalando consolazione ai<br />
lettori più giovani, mi era d’intralcio, perché non lasciava la giusta dose<br />
di amarezza trapelare dalle righe, come veleno. Come rimpianto. Come<br />
ricordo di cose belle, perdute per sempre.<br />
Ho affidato a Nathan questa incombenza, perché voglio che il suo<br />
coraggio sia ricordato. Lui e Maud sono quelli che indicano la via; la<br />
possibilità di uscire dalle maledizioni familiari e psicogenetiche esiste, e<br />
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