Poiàn el so dialeto - Gruppo Giovani Povegliano
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F<br />
Il compito d<strong>el</strong>la memoria n<strong>el</strong>la ricerca degli alunni<br />
d<strong>el</strong>la Scuola Primaria: classi V a, V b, V c, V d<br />
ino a non molto tempo fa i mass-media avevano dato una grande attenzione<br />
ad un eventuale insegnamento a scuola d<strong>el</strong>la lingua dialettale.<br />
Su quotidiani comparivano enormi titoli e diverse interviste ad educatori,<br />
alunni e per<strong>so</strong>ne comuni sull’utilità e l’importanza d<strong>el</strong> dialetto come<br />
strumento e mezzo per la riscoperta d<strong>el</strong>l’identità culturale di ogni individuo.<br />
Come dire la globalizzazione ci sta inghiottendo e l’unico modo che abbiamo<br />
per non sentirci uno dei tanti è di riscoprire il nostro modo di parlare,<br />
di vivere n<strong>el</strong> quotidiano, riappropriandoci di qu<strong>el</strong>le tradizioni da sempre<br />
amate e derise allo stes<strong>so</strong> tempo.<br />
Proprio partendo da questi presupposti è sembrato interessante chiedere<br />
un “contributo conoscitivo” ai ragazzi d<strong>el</strong>la 5ª classe d<strong>el</strong>la scuola primaria<br />
per capire anzitutto qual’è la lingua a loro familiare vissuta ed appresa<br />
da mamma e papà.<br />
Non ci ha stupito di certo il fatto che in un piccolo paese come il nostro<br />
il dialetto autoctono fosse ancora predominante, ma si evidenzia sempre<br />
più la presenza di dialetti parlati in altre comunità alcune non lontane da<br />
noi (Valeggio, Caprino, Mantova, Rovigo, Vicenza), altre provenienti da regioni<br />
e stati più lontani (Sicilia, Calabria, Serbia). Questo ci ha dato modo<br />
di vedere che a Caprino e a Vicenza si mangia il “pevaron”, a Valeggio la<br />
“siola”, la “bogona” e l’“armila”. A liv<strong>el</strong>lo linguistico è emer<strong>so</strong> che n<strong>el</strong> vicentino<br />
la vocale finale non cade, n<strong>el</strong> rovigoto si ha una predominanza d<strong>el</strong>l’u<strong>so</strong><br />
d<strong>el</strong>la “z” e dei suoni “eio, eo”. Pur n<strong>el</strong>la loro diversità di pronuncia si<br />
nota anche che n<strong>el</strong> dialetto mantovano, napoletano e casertano hanno come<br />
il nostro un ampio u<strong>so</strong> di termini senza la vocale finale (frad<strong>el</strong>, pit,<br />
snoc; a chies, a scop; <strong>so</strong>ld, cap).<br />
Altro aspetto che viene subito rilevato è che il dialetto poveglianese ha<br />
ricevuto una forte influenza dall’italiano che lo ha re<strong>so</strong> più “pulito” e più<br />
comprensibile agli altri: mento n<strong>el</strong>la maggior parte dei casi, ha pre<strong>so</strong> il posto<br />
di “sbarbes<strong>so</strong>la”; m<strong>el</strong>a <strong>so</strong>stituisce sempre più “pomo”; “caval” è più noto<br />
di “caàl”, lo stes<strong>so</strong> vale per “ovo” anziché “oò”.<br />
Una discrepanza con qu<strong>el</strong>lo appena detto è che <strong>so</strong>no ancora in u<strong>so</strong> vocaboli<br />
considerati vecchi e legati alla cultura e alla parlata contadina di cinquanta<br />
anni fa: “sis¸on” (maschio d<strong>el</strong>l’anatra), “oroto” per indicare l’imbuto,<br />
“sgognar, intortar, tor par <strong>el</strong> na<strong>so</strong>” per dire prender in giro.<br />
Da non <strong>so</strong>ttovalutare è anche il tentativo di scrittura d<strong>el</strong>le parole e la<br />
difficoltà in tutti i casi di stabilire con la grafia una corretta ed attinente lettura<br />
dei termini. Ecco allora che rendere il suono di “s” dolce si ricorre all’u<strong>so</strong><br />
d<strong>el</strong>la “z” o stranamente d<strong>el</strong>la “x” che viene ampiamente usata n<strong>el</strong> dialetto<br />
veneziano; mentre <strong>so</strong>lo in alcuni casi la “s” sibilante è indicata con la