Monografija - drugo izdanje - italijanski - niska rezolucija
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Paunović, giornalista e collezionista: tutto ciò che abbiamo<br />
di Cvetin è stato acquisito e conservato da questo giornalista<br />
del giornale “Politika”. Purtroppo Cvetin fu portato in un<br />
campo di concentramento nel 1942. Dopo il ritorno dalla<br />
Polonia, dall’inferno, si ammalò e trascorse gli ultimi anni<br />
di vita in un sanatorio in Slovenia. Il suo nome, Cvetin, deriva<br />
dalla parola serba che significa fiore. I fiori nella sua vita<br />
spinosa, come in una crudele barzelletta, furono presenti<br />
solamente come parte del suo nome.<br />
La sua opera più importante, Monna Lisa coi ducati ritrae<br />
una cupa figura femminile, con il rigido “sorriso misterioso<br />
di Leonardo Da Vinci”, ma con occhi attoniti (la paura<br />
in quegli occhi appare evidente solo a noi?), spenti e cupi,<br />
che connotano il suo creatore ancora oggi: quest’uomo, nella<br />
sua vita, era uno di quelli “già visitati dalla morte”.<br />
Al polo opposto di quest’anima torturata c’era un personaggio<br />
grande e famoso, Emerik Feješ, che durante la vita<br />
collezionò cartoline di città straniere come altri collezionano<br />
francobolli (la propensione per gli oggetti piccoli potrebbe<br />
essere derivata dalla sua professione di fabbricante<br />
di pettini e bottoni). Dipinse quadri di luoghi che non aveva<br />
mai visitato, usando le cartoline come ispirazione. Dalla<br />
sonnolenta Novi Sad, sul cui stemma compare un piccione,<br />
nel suo appartamento, che era uguale a quello di mille vicini,<br />
Feješ viaggiò per tutto il mondo, cartolina dopo cartolina.<br />
Emerik si divertiva ad ascoltare “la musica del mondo”:<br />
gondole veneziane navigavano sulla sua modesta tovaglia di<br />
cucina, piccioni parigini tubavano, treni giapponesi correvano,<br />
gli imam dei minareti di Sarajevo intonavano canti.<br />
Tutti i luoghi lontani gli erano vicini. Si dice che in quest’uomo<br />
si nascondessero in realtà una persona avventurosa ed<br />
un viaggiatore, un eterno Colombo, che scopriva in continuazione<br />
nuove città, “componendole” con case multicolori<br />
sotto tetti color rosso intenso, “assemblando” puzzle di<br />
pittura multicolore. Se c’è un motivo recondito alla base,<br />
potrebbe essere l’unione del generale e del collettivo (una<br />
città vista come un alveare dalla struttura a nido d’ape e api<br />
umane che volano sopra di essa). Dipingeva piccole finestre<br />
con colori chiari, piccoli balconi, linee bianche a zigzag per<br />
rappresentare le tegole sui tetti curvi, mettendo qua e là delle<br />
torri a richiamare i castelli delle fiabe delle sue letture<br />
infantili. In questo modo cantò una filastrocca sulla<br />
ricchezza e la bellezza del mondo, un canto veramente<br />
commovente e naïf. E pieno di colori.<br />
Ma nelle opere dei suoi successori, la sua “variopinta<br />
ricchezza di colori” si tinse di nero.<br />
Come sono gioiose le immagini dei<br />
Fra il Naїf e l’iperrealismo: Sava<br />
Stojkov, “Con una bottiglia di<br />
rakija” (particolare)<br />
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