Monografija - drugo izdanje - italijanski - niska rezolucija
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Belgrado resisté agli Ottomani molto più a lungo del resto della Serbia.<br />
Con la resa di Smederevo, la capitale scelta dal despota Đurađ (erede di Stefan), la<br />
città con una delle più grandi fortezze d’Europa, arrivò la fine del potere della Serbia<br />
medievale e insieme la resa finale della Serbia agli Ottomani.<br />
Le venticinque alte torri che circondano i dieci ettari della fortezza si riflettono<br />
nelle acque del Danubio e continuano a testimoniare che non c’è altra fortezza che lo<br />
spirito umano, e che neppure le mura più forti possono difendere l’uomo dalla paura<br />
e dalla disperazione. I difensori della fortezza consegnarono agli Ottomani una città<br />
che era stata costruita per essere invincibile, mentre ascoltavano il rumoreggiare<br />
oscuro e minaccioso del mare islamico che sciabordava sulle loro coste, rendendosi<br />
conto che coloro che vivevano dall’altra parte del Danubio, dove si trovava il mondo<br />
cristiano, non li avrebbero aiutati, accecati com’erano, e non solo allora ma di frequente<br />
nel corso della storia, dai loro litigi e dalle loro lotte per i vari regni.<br />
“Sic transit gloria mundi!”<br />
Solo nel 1521 Solimano il Magnifico conquistò Belgrado, onorando così l’impegno<br />
con il Sultano Murad II (il cui esercito di 100.000 guerrieri fu costretto a ritirarsi davanti<br />
ai coraggiosi difensori sotto il comando di Jovan Tolovac di Korčula), che aveva<br />
affermato che Belgrado sarebbe prima o poi diventata ottomana, e anche per ritorsione<br />
per la terribile sconfitta subita dal sultano Maometto II Fatih, il conquistatore di<br />
Costantinopoli, che a Belgrado (1456) era stato ferito combattendo in prima fila con<br />
le armi in pugno.<br />
Belgrado – la Città Bianca, chiamata antemurale christianus (contrafforte cristiano)<br />
negli editti papali – una città sul cui primo stemma, oggi abbandonato, vi erano<br />
una torre e due “croci patriarcali” – fu difesa dai crociati capeggiati dal duca Janos<br />
Hunyadi, il palatino ungherese, spronati dagli infuocati sermoni francescani di Giovanni<br />
da Capestrano, abate combattente poi fatto santo. Entrambi morirono, subito<br />
dopo la vittoria, di una malattia causata dall’“aria ammorbata” dai 30.000 cadaveri in<br />
decomposizione dei guerrieri di Allah che giacevano sul campo di Mali Kalemegdan<br />
perché non c’era nessuno che li seppellisse (gli Ottomani avevano già occupato la<br />
Città Bassa, ma i difensori risposero con un attacco improvviso e sanguinoso).<br />
Non era la prima volta che Dio, con strumenti umani, metteva sullo stesso piano<br />
i vincitori e i vinti, e neppure era la prima volta che le impassibili acque del Danubio<br />
trasportavano cadaveri umani. E non sarebbe stata l’ultima.<br />
Allora una lunga processione di Serbi (1521) uscì dalla porta della città portando<br />
con sé icone e reliquie di Santa Petka, lasciando la città per ordine del sultano, ubbidendo<br />
alla volontà del vincitore, e se ne andarono lontano verso le coste del Bosforo.<br />
Per i successivi centosessanta anni, alti minareti eretti sulle colline di Belgrado si<br />
riflessero nelle acque del Danubio; i più alti furono costruiti dall’imam Sinan, famoso<br />
progettista turco e architetto imperiale, per la moschea di Solimano il Magnifico, un<br />
edificio dalla cupola immensa che con il suo profilo dominava Kalemegdan. Oggi non<br />
rimane neppure un pezzetto di quel magnifico edificio eretto sulla cima della “Collina<br />
della Contemplazione” (Fekir-bayir, “collina della contemplazione”, è appunto il<br />
nome che gli Ottomani dettero a quei terreni, sull’orlo della bassa sporgenza di Kalemegdan,<br />
da cui si gode “il più bel tramonto d’Europa”).<br />
In quel periodo Belgrado danzava al ritmo dei colpi delle guerre ottomane contro<br />
l’Europa, con una popolazione crescente, da 20.000 a oltre 100.000 abitanti, un numero<br />
sbalorditivo, ben oltre di quanti ne avesse la stessa Londra.<br />
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