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Monografija - drugo izdanje - italijanski - niska rezolucija

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cimiteri e dei funerali di paese nei quadri dei pittori naïf degli<br />

anni Sessanta! Questi quadri esprimono la schietta filosofia<br />

contadina che ci comunica che la vita continua nonostante<br />

la morte, e che la bellezza incantevole della vita trionfa; la<br />

filosofia delle commemorazioni paesane dei morti, incontri<br />

che di solito iniziano nella tristezza, poi divengono più distesi<br />

grazie al cibo e al bere, e infine terminano con il canto (“E la<br />

canzone preferita del nostro amico morto era…”).<br />

Janko Brašić: “Il ritratto di madre”<br />

254<br />

Il pubblico occidentale rimase “costernato e colpito”<br />

dall’energia e dagli oceani di ottimismo di questi pittori autodidatti,<br />

ma non era abituato a certi oscuri retaggi dell’anima<br />

umana; molti vennero a conoscenza dell’usanza, tipica<br />

della Serbia orientale, di organizzare il proprio funerale col<br />

compianto funebre e la bara vuota, nascondendosi per vedere<br />

chi verrà a piangere il “defunto” quando morirà sul serio;<br />

poi, nascosto sotto la tavola, ascoltare i discorsi in ricordo<br />

del “morto”. Chi si fosse recato in un cimitero del Dragačevo<br />

dove, non tanto tempo fa, in occasione della commemorazione<br />

annuale dei defunti a novembre, sono state chiamate<br />

bande di ottoni e la gente ha ballato il kolo (una danza tradizionale)<br />

fra i monumenti e le croci, si sarebbe potuto rendere<br />

conto che i quadri naïf con funerali, cippi e cerimonie<br />

funebri non hanno in realtà alcunché di scioccante, e soprattutto<br />

che la nuova tonalità della pittura (che potremmo<br />

definire con un ossimoro un “nero multicolore”) non è una<br />

finzione ma un’immagine reale del folklore dei Balcani.<br />

Oggi che molti dei fiori della “primavera jugoslava” sono<br />

caduti (oltre ai numerosi centri di arte naïf in Serbia, nella<br />

“mappatura” mondiale dell’arte naïf un posto speciale apparteneva<br />

alla Croazia, rivolta verso il mercato occidentale<br />

e favorita dai prezzi dei quadri: la “Scuola Generalić Hlebinska”,<br />

la più antica, fu la prima a raggiungere l’apice e anche<br />

la prima a scivolare nel manierismo), diventa più chiaro<br />

che l’arte naïf fu realmente uno spazio libero per lo spirito<br />

umano e la creatività in un periodo in cui v’era ancora l’ambizione<br />

ideologica di creare “un uomo nuovo”, in cui l’ombra<br />

rossa del realismo socialista, benché da lungo tramontato,<br />

si stendeva ancora sullo spazio culturale jugoslavo, e v’era<br />

ancora un certo disagio di fronte ad un’arte fine a se stessa,<br />

che non doveva esprimere contenuti sociali, ma poteva essere<br />

spiegata solo da se stessa. E gli impulsi creativi dell’arte<br />

naïf erano ciechi ai “superiori” fini sociali; il movimento<br />

Naïf non aveva bisogno di mentire su se stesso o di adulare<br />

nessuno. Le fonti di quell’arte e quei bisogni creativi erano<br />

misteriosi persino per i suoi rappresentanti (e specialmente<br />

per loro!): che altro poteva rappresentare l’arte naïf, nel suo<br />

significato fondamentale, se non “l’art pour l’art?”.<br />

A quell’epoca, senza alcuna intenzione, né buona né<br />

cattiva, gli artisti naïf conservarono lo spirito tradizionale<br />

serbo, profondamente conservatore, dimostrando effettivamente<br />

come fosse sottile il rosso spessore dell’ideologia<br />

comunista sull’anima delle persone, come l’anima della<br />

gente continuasse a vivere di mitologia nazionale, religione,<br />

musica suonata con il gusle (lo strumento nazionale) e poemi<br />

epici; sembra quasi che essi abbiano intenzionalmente

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