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FILOSOFIA MICHEL DE MONTAIGNE<br />
«Non conosco libro più calmo, e che disponga maggiormente alla seren<strong>it</strong>à» scrisse Flaubert dei<br />
Saggi, e certo, tra i grandi libri in cui si è espressa la cultura occidentale, non molti sono quelli che<br />
presentano altrettanto immediata l’impronta di uno spir<strong>it</strong>o sereno, coordinatore sovrano e<br />
misurato di un’infin<strong>it</strong>a e fluttuante varietà di contenuti. Sorretta <strong>da</strong> una curios<strong>it</strong>à che non si arresta<br />
<strong>da</strong>vanti a nulla, l’in<strong>da</strong>gine serrata (se pure niente affatto sistematica) che Montaigne conduce nel<br />
suo libro vede i suoi risultati ridotti a un’unica costante che è lo studio di sé, delle proprie<br />
humeurs et cond<strong>it</strong>ions, e attraverso di esso arriva alla rappresentazione dell’uomo «dipinto per<br />
intero, e tutto nudo». Persuaso che tutto sia stato detto e preoccupato di dimostrare che lo spir<strong>it</strong>o<br />
umano rimane sempre simile a se stesso, egli giunge, paradossalmente, alla conclusione che<br />
nulla può dirsi che sia certo, se non che tutto è incerto. Questo gli apre le porte per un viaggio<br />
senza fine all’interno di se stesso, solo oggetto possibile della sua ricerca perché il solo<br />
verificabile mediante l’esperienza diretta e, in fondo, il solo interessante per lui: «Io oso non<br />
soltanto parlare di me, ma parlare soltanto di me…». Le parti sono così rovesciate; l’uomo non<br />
deve accettare una linea di condotta precost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>a, anche se resa venerabile <strong>da</strong> una tradizione<br />
soli<strong>da</strong> e ormai acquis<strong>it</strong>a, né districare nella selva di dottrine contradd<strong>it</strong>torie quella che gli serva<br />
come filo conduttore per la propria v<strong>it</strong>a; egli deve piuttosto esprimere un modo di v<strong>it</strong>a che si<br />
propone appunto di essere peculiare e unico. Questa accan<strong>it</strong>a, quasi puntigliosa reductio di tutta<br />
la cultura precedente è stata indubbiamente la grande scoperta di Montaigne, e quella che ha<br />
fatto dei Saggi un punto fermo nella storia della cultura occidentale. Il libro è sì la grande summa in<br />
cui vengono esposte, cr<strong>it</strong>icate, parzialmente accettate o respinte con stupefacente libertà di<br />
giudizio le teorie tradizionali più generalmente accolte, il grande serbatoio attraverso cui fluisce lo<br />
spir<strong>it</strong>o classico e in cui si raccolgono, filtrate, tutte le principali correnti del pensiero antico, ma<br />
soprattutto è la prima grande rappresentazione moderna dell’uomo nella sua condizione tutta<br />
umana, sradicata, parrebbe, <strong>da</strong>l suo rapporto esistenziale con la total<strong>it</strong>à – ma non <strong>da</strong> quello con la<br />
Natura –, dell’uomo come unico punto di riferimento per ogni azione e ogni giudizio. L’uomo di<br />
Montaigne, questo soggetto «vano, vario e ondeggiante», non è più l’eroe che cerca di superare<br />
la propria condizione in uno sforzo tragico o mistico, ma l’uomo nuovo, l’honnête homme, che<br />
accetta se stesso, le sue potenzial<strong>it</strong>à e i suoi lim<strong>it</strong>i. I Saggi sono perciò il primo grande sforzo,<br />
pienamente consapevole, di fare dell’in<strong>da</strong>gine psicologica e morale la sostanza stessa dell’attiv<strong>it</strong>à<br />
letteraria, giacché il chiarire a se stessi per mezzo della parola le proprie «fantasie informi»<br />
diventa in realtà un modo di vivere più compiutamente: «Non son tanto io che ho fatto il mio libro,<br />
quanto il mio libro che ha fatto me, libro consustanziale al suo autore, di un’util<strong>it</strong>à personale,<br />
membro della mia v<strong>it</strong>a...».<br />
Da risvolto della edizione Adelphi<br />
in DE MONTAIGNE