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adattarsi Moquette e carta da parati, pia - Segnalo.it

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Secondo la parabola, quando ho questi talenti, ci sono due possibil<strong>it</strong>à.<br />

1. Usarli e produrli, quindi aumentare il patrimonio, in concreto raddop<strong>pia</strong>re.<br />

2. Oppure non usare e rendere il patrimonio sterile; quel talento che è sotterrato è un patrimonio<br />

sterile, non produce niente per nessuno.<br />

È strano, però non c’è la terza possibil<strong>it</strong>à, che a me verrebbe in mente sub<strong>it</strong>o e credo anche a voi.<br />

Cioè la terza di colui che si impegna e gli va male: usa i cinque talenti, fa un affare sbagliato, e<br />

alla fine si r<strong>it</strong>rova senza nemmeno i cinque talenti. Ci sarebbe anche questa possibil<strong>it</strong>à, invece<br />

nella parabola non è presa in considerazione. Io mi sono chiesto: perché? Se i talenti fossero<br />

semplicemente una questione di soldi, questa è una possibil<strong>it</strong>à chiarissima. Ve ne intendete molto<br />

meglio di me, ma tutte le volte che uno mette in gioco un patrimonio – finanziario o con un’impresa<br />

economica, ecc. – gli può an<strong>da</strong>re bene ma anche male, perlomeno un certo rischio (non so quale<br />

sia la percentuale di rischio) c’è. Bisognerebbe prenderlo in considerazione, invece non viene<br />

presa, perché?<br />

Perché credo che il discorso dei talenti nell’ottica del Vangelo non sia prettamente economico. È<br />

vero che i talenti sono un patrimonio pecuniario (come dicevo una quarantina di chili di argento),<br />

ma l’ottica della parabola non è tanto quella, ma piuttosto fa riferimento all’esperienza dell’uomo<br />

nell’integr<strong>it</strong>à della sua pienezza (cfr. Lc 17, 6).<br />

L’importante per la parabola non è riuscire ad avere un successo verificabile, ma è trafficare i<br />

talenti bene, metterci tutto l’impegno, in modo che quello che tu hai ricevuto lo vivi per colui che te<br />

lo ha <strong>da</strong>to. Dopo, il risultato esterno conta poco, il Signore sa vedere nel cuore l’intenzione o<br />

l’atteggiamento. Questo non è un discorso <strong>da</strong> imprend<strong>it</strong>ore, dove evidentemente il risultato è<br />

importantissimo, ma è un discorso di fede dove quello che conta innanz<strong>it</strong>utto è l’atteggiamento<br />

interiore del cuore (cfr. Ez 36, 26ss).<br />

Che l’ottica sia questo è confermato anche <strong>da</strong>lla terza scena. Perché quando si fa il rendiconto i<br />

servi che hanno gua<strong>da</strong>gnato con il loro impegno sono ricompensati; come?: Con una grande<br />

somma? Con un grande potere? No, ma dice: «[21]Bene, servo buono e fedele (…) sei stato<br />

fedele nel poco, ti <strong>da</strong>rò autor<strong>it</strong>à su molto; entra nella gioia del tuo padrone». Vuole dire: come<br />

ricompensa non è <strong>da</strong>to qualche cosa, è <strong>da</strong>ta una comunione di v<strong>it</strong>a, una partecipazione alla gioia,<br />

alla pienezza (cfr. Mt 8, 10-11).<br />

Perché il vero problema della parabola è: con quei cinque o due o un talento che tu hai ricevuto,<br />

hai saputo amare il padrone e quindi usare i talenti per lui rispondendo alla sua fiducia e alla sua<br />

speranza? Aveva messo speranza in te e tu hai risposto a questa fiducia, o sei rimasto<br />

indifferente? Perché per la parabola il peccato non è buttare via il talento, ma è nasconderlo, non<br />

usarlo. Il metterlo sotto terra, questo è peccato; quindi, torno a dire, non il buttarlo via, ma il non<br />

trafficarlo; perché?<br />

Quando il terzo servo, quello che ha nascosto il talento, spiega il suo comportamento dice:<br />

«Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai<br />

sparso; [25]per paura an<strong>da</strong>i a nascondere il tuo talento sotterra; ecco qui il tuo»; «per paura».<br />

“Paura” vuole dire: questo servo vede nel padrone un avversario della sua v<strong>it</strong>a, un altro che può<br />

diventare ostile nei suoi confronti. Il che tradotto vuole dire: questo servo vede il talento che ha<br />

ricevuto non come un atto di fiducia in lui, ma piuttosto come un peso che gli è stato messo<br />

addosso <strong>da</strong> un padrone che lo sta sfruttando. La sua immagine è questa: “Il padrone mi dà<br />

questo talento per sfruttarlo, io lavoro e alla fine il premio, il gua<strong>da</strong>gno, andrà a finire nelle sue<br />

tasche. Guai… guai… Io non mi muovo, io il talento glielo tengo, glielo rest<strong>it</strong>uisco, quindi non potrà<br />

lamentarsi, gli do quello che lui mi ha <strong>da</strong>to, ma guai a mettere della mia fatica… per chi? Per che<br />

cosa?”.

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