DIFFERENZE DI GENERE UOMO DONNA le parole di NADIA FUSINI: «Di un essere che definiamo un uomo, una donna, dovremmo poi dire il come: come è donna quella donna? E come è uomo quell’uomo? Troveremo che siamo tutti sempre spostati, sempre obliqui, sempre almeno in parte eccentrici rispetto a quel significante, alla sua legge. Questa è la condizione della donna e dell’uomo moderni». E più avanti: «Come sono donna, mi chiedo, io che sono una donna? Quanto incarno di quel significante nel reale? La ver<strong>it</strong>à che scopro interrogandomi è una penosa distanza, un fon<strong>da</strong>mentale smarrimento rispetto a quel nome comune di “donna”; ed è l’avventura in questo smarrimento, o errore, che mi definisce in modo assolutamente decentrato rispetto al punto no<strong>da</strong>le di quella mia doman<strong>da</strong> a me stessa. E questo accade non solo a me, che sono una donna, ma scopro lo stesso gioco di complic<strong>it</strong>à, e di estrane<strong>it</strong>à insieme, in ogni maschio che si interroghi riguardo alla legge che lo vuole identificare. Che non si abbandoni incosciente al privilegio della sua ident<strong>it</strong>à - pur sempre parziale, quand’anche si aggiudichi pretese universali. Perché, prima o poi, viene per tutti il giorno in cui dovremo <strong>da</strong>re conto di chi siamo a qualcuno che veramente lo chiede; e allora quella anonima maschera di genere non servirà. L’ident<strong>it</strong>à sessuale oggi più che mai è un miraggio, e qualora si dia come compiuta, essa è effetto di un fon<strong>da</strong>mentale misconoscimento. Perché, in ver<strong>it</strong>à, non ci sono che esperienze in eccesso o in difetto rispetto al polo maschile o femminile dell’ident<strong>it</strong>à. Mogli obbedienti, madri perfette, padri severi, mar<strong>it</strong>i autor<strong>it</strong>ari, maschi aggressivi, femmine passive - chi crede più a queste maschere? […] Ciò che scopro, insomma, se osservo con attenzione il mondo che mi circon<strong>da</strong>, è che il sapere della differenza sessuale, il taglio, cioè, che l’appartenenza all’uno o all’altro sesso scava nel corpo umano, coincide con ciò che nell’esperienza veniamo a conoscere della nostra radicale, disperata distanza <strong>da</strong> una sicura ident<strong>it</strong>à basata sul sesso. […] Non è <strong>da</strong> lì che possiamo trarre, uomini e donne moderni, un orientamento o un destino. Neppure l’indicazione di un comp<strong>it</strong>o. […] Non siamo animali; e, a differenza di loro, che hanno la propria immagine dentro, a noi l’immagine viene <strong>da</strong> fuori, è un riflesso. E’ specchiandoci l’uno nell’altra che ci riconosciamo. Se siamo maschi e femmine, lo sapremo <strong>da</strong>ll’altro. E ciò che potremo fare e essere a partire <strong>da</strong> questo si inscrive oggi nell’orizzonte della nostra libertà». (pp.8-10) in NADIA FUSINI
DOLORE La v<strong>it</strong>a segreta delle parole di Isabel Coixet recensione tratta <strong>da</strong> Lella Ravasi Bellocchio, Gli occhi d'oro, ancora. Il cinema nella stanza dell'analisi, Moretti & V<strong>it</strong>ali, 2008, p. 101-106 Una <strong>pia</strong>ttaforma petrolifera in mezzo al mare. Un incidente. Un uomo fer<strong>it</strong>o, Josef, ustionato gravemente nell'incidente, ha perso la vista temporaneamente. Una giovane infermiera, Hanna, straniera, ha un apparecchio acustico; quando vuole isolarsi <strong>da</strong>l mondo spegne l'interruttore. Due v<strong>it</strong>e segnate nel corpo <strong>da</strong> una possibile incomunicabil<strong>it</strong>à. Lui non la vede. Lei lo sente solo se vuole. Ma la storia è molto più complessa, e fin <strong>da</strong>ll'inizio entriamo nel mistero di lei: la vediamo operaia in fabbrica, chiusa al mondo, senza amici, una v<strong>it</strong>a difesa <strong>da</strong>i sentimenti; in mensa mangia <strong>da</strong> sola - riso in bianco, petto di pollo, mela - sempre lo stesso non sapore; quando rientra a casa l'aspetta il vuoto asettico, garant<strong>it</strong>o <strong>da</strong> saponi impilati con cura accanto al lavandino. Una fobica, così appare. C'è una piccola voce di bimba che parla, all'inizio del film: l'accompagna, racconta la cura dell'immaginario che la ragazza ha di lei, il suo pensarla, con una salopette rossa e un golfino azzurro, capelli lunghi, capelli corti, come se fosse una figlia perduta, o una figlia non nata, una parte di lei inabissata. E la voce di bambina dice «ci sono così poche cose: silenzio e parole.. .nel fondo del mare». Costretta a una vacanza, <strong>da</strong> sola in albergo su un oceano freddo e ventoso, Hanna ascolta per caso di una persona ustionata che ha bisogno di cura; si propone. Meglio che stare <strong>da</strong> sola con i suoi fantasmi. Sulla <strong>pia</strong>ttaforma petrolifera entra in contatto con Josef, con la sua rabbia provocatoria, le fer<strong>it</strong>e, il buio degli occhi. Il suo modo di stargli accanto è professionalmente perfetto, ma lui chiede una presenza che lei non gli può <strong>da</strong>re; lui ha bisogno di perdonarsi, non solo di guarire. Hanna ha lo stesso bisogno. La distanza, lo sapremo poi, è l'unica difesa possibile <strong>da</strong>ll'orrore pat<strong>it</strong>o, <strong>da</strong>lla malattia di essere viva che le è rimasta addosso. All'inizio la guarigione di lei, l'avvicinamento alla v<strong>it</strong>a, passa <strong>da</strong>l cibo: c'è un cuoco sulla terra-non terra che è la <strong>pia</strong>ttaforma petrolifera; quando cucina ascolta la musica del paese <strong>da</strong> cui viene la ricetta, «cucino per me, per non impazzire», dice. Così un <strong>pia</strong>tto di gnocchi al pomodoro nasce ispirato <strong>da</strong> una canzone di Paolo Conte. Josef la interroga: «Cosa ti <strong>pia</strong>ce?», e alla sua risposta «pollo, riso in bianco, mela» le dice con stran<strong>it</strong>a dolcezza «che cosa c'è che non va? Che cosa ti fa tanta paura?» E lei, quasi furtivamente, comincia ad assaggiare gli gnocchi <strong>da</strong>l <strong>pia</strong>tto di lui. È l'inizio di un cambiamento: <strong>da</strong>l vuoto del non-senso, del non-sapore, <strong>da</strong>l silenzio di chi è portatore di fer<strong>it</strong>e indicibili, a una possibile parola, semplice, nell'intim<strong>it</strong>à che si crea tra loro nella terra del dolore, di cui sono entrambi prigionieri. È l'attenzione al corpo fer<strong>it</strong>o che cura lui e cura lei. Che cosa passa <strong>da</strong> tutto questo soffrire? I due imparano ad accettare l'uno dell'altro i silenzi, imparano che è possibile non farsi male, che la vergogna e la pietà possono anche curare. La commozione di chi è nel buio della sala è sobria, gui<strong>da</strong>ta <strong>da</strong>lla ver<strong>it</strong>à delle immagini. Nel microcosmo che è la v<strong>it</strong>a sulla <strong>pia</strong>ttaforma petrolifera c'è un campionario normale nella sua bizzarria: oltre al cuoco, qualche marinaio, uno studioso dell'oceano che misura la forza delle onde, e per hobby controlla le cozze, un'oca selvatica addomesticata che passeggia <strong>da</strong> padrona, un'altalena su cui lasciarsi dondolare. Il mondo è altrove. L'essere lontani, un punto di luce nell'oceano, garantisce la v<strong>it</strong>a segreta delle parole. Hanna tocca Josef, con delicatezza lo lava, lo massaggia, permette al corpo di lui di lasciarsi an<strong>da</strong>re al tocco gentile di lei che lo cura, come fa una madre con un bambino. Passa <strong>da</strong>l corpo, <strong>da</strong>gli occhi ciechi di lui che immaginano lei, <strong>da</strong>l sentirne l'odore. Solo alla fine, quando stanno per separarsi, quando lui verrà trasportato sulla terraferma in un ospe<strong>da</strong>le, quando le dice la vergogna di avere portato via la donna a un amico (il cui suicidio è all'origine dell'incidente di lui che si è gettato nel fuoco invano per salvarlo), quando lei è sicura che non avranno un futuro le parole tra loro, Hanna gli racconta la sua storia. Irrompe con la grazia del suo racconto di ragazza, <strong>da</strong>l ricordo leggero delle risate con l'amica del cuore, irrompe senza <strong>da</strong>rci il tempo di pensare, entra in scena la sciagura: la guerra in Bosnia, l'albergo in cui Hanna e l'amica - che hanno lasciato la scuola infermiere per tornare a casa per un breve viaggio - vengono portate. Sono arrivate a pochi chilometri <strong>da</strong> casa; i sol<strong>da</strong>ti - quelli che parlano la loro lingua, per primi, e poi i caschi blu - sono loro gli uomini del male, e loro, le ragazze, belle, ridenti, bottino di guerra, corpi <strong>da</strong> trapassare. Le torture. La violenza. L'amica morta.
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