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MEMORIA CONDIVISA FASCISMO ANTIFASCISMO<br />
<strong>da</strong> Sergio Luzzatto, La crisi dell'antifascismo, Einaudi 2002<br />
"Cap<strong>it</strong>a oggi di assistere a un paradosso: gli uomini e le donne i quali scegliendo a vent’anni<br />
l’antifascismo anziché il fascismo, contribuirono in maniera straordinaria a redimere l’Italia <strong>da</strong>lla<br />
colpa storica della d<strong>it</strong>tatura, si trovano adesso <strong>da</strong> ottuagenari a doversi confessare per peccati<br />
che non hanno materialmente commesso. Oppure si preparano a morire tacendo"<br />
“confusione che oggi si fa tra memoria condivisa e storia condivisa; più in generale tra bisogno di<br />
memoria e bisogno di storia.... Occorrerebbe spiegare che la memoria collettiva sulla quale si<br />
affaticava la mente geniale di uno studioso come Marc Bloch non equivale necessariamente alla<br />
memoria condivisa" (pag. 15) di cui tessono l’elogio i revisionisti <strong>da</strong> strapazzo. "L’una (la storia)<br />
riman<strong>da</strong> a un unico passato, cui nessuno di noi può sottrarsi, mentre l"altra (la memoria<br />
condivisa) sembra presumere un’operazione più o meno forzosa di azzeramento delle ident<strong>it</strong>à e<br />
di occultamento delle differenze. Il rischio di una memoria condivisa è una smemoratezza<br />
patteggiata, la comunione nella dimenticanza" (pag. 25).<br />
"Credo sia venuto il momento di dire ai cattivi maestri - votino a destra o a sinistra - una cosa<br />
semplicissima, ma di dirla forte e chiara: la guerra civile combattuta tra il 1943 e 45 (o 46) non ha<br />
bisogno di interpretazioni bipartisan che ridistribuiscano equamente ragioni e torti, elogi e<br />
necrologi. Perché certe guerre civili mer<strong>it</strong>ano di essere combattute. E perché la moral<strong>it</strong>à della<br />
Resistenza consistette anche nella determinazione degli antifascisti di rifon<strong>da</strong>re l"Italia anche a<br />
costo di spargere sangue" (pag. 29). "Ripeto: si può condividere una storia - e si può condividere<br />
una nazione o addir<strong>it</strong>tura una patria - senza per questo dover dividere delle memorie. Dico di più:<br />
una nazione e perfino una patria hanno bisogno come del pane di memorie antagonistiche,<br />
fon<strong>da</strong>te su lacerazioni originarie, su valori ident<strong>it</strong>ari, su appartenenze non abdicabili né<br />
contrattabili".<br />
Oggi, con il mio collega storico - nonchè mio ex professore alla Normale - Roberto Vivarelli io<br />
certamente condivido, <strong>da</strong> c<strong>it</strong>tadino <strong>it</strong>aliano, tutta una storia. È quella stessa storia (a poste¬riori<br />
cosi straziante, e infatti cosi poco studia¬ta) che fece in maggioranza degli ebrei <strong>it</strong>aliani, e forse<br />
di mio nonno, altrettanti volenterosi am¬miratori di Mussolini. Ma se parliamo di me¬moria, io<br />
desidero e pretendo che la mia e quel¬la di Vivarelli restino memorie divise. Si tenga pure, lui, la<br />
memoria di suo padre squadrista, marciatore su Roma, volontario in tutte le guer¬re del duce; si<br />
tenga la memoria di se stesso, im¬berbe volontario delle brigate nere. Io mi ten¬go la memoria del<br />
nonno che non ho mai cono¬sciuto: del medico che perse, dopo la cattedra univers<strong>it</strong>aria, ogni<br />
dir<strong>it</strong>to di curare pazienti «ariani», prima di nascondersi a Lucca come un topo braccato per<br />
sfuggire ai risultati estremi della persecuzione razziale. E mi tengo la memoria di mio padre<br />
bambino, che dovette cela¬re tra i monti della Garfagnana la sua origina¬ria condizione di<br />
«mezzo» ebreo, cosi <strong>da</strong> sottrarsi al treno per Auschw<strong>it</strong>z.<br />
Inoltre, sostengo che è assurdo pretendere di versare il sangue di mio nonno, di mio padre, o di<br />
qualunque altro ebreo fortunosamente scam¬pato alla Soluzione finale, nell'improbabile<br />
cal¬derone di un sangue dei vinc<strong>it</strong>ori in tutto e per tutto distinto <strong>da</strong>l sangue dei vinti. No, <strong>da</strong>vvero<br />
non riesco a pensare a mio nonno come a un vin¬c<strong>it</strong>ore: lui che nel 1915, <strong>da</strong> fervido irredentista<br />
triestino, si era arruolato volontario nella Gran¬de Guerra per combattere sotto le insegne di<br />
Ca¬sa Savoia; lui che, vent'anni più tardi, ha letto la firma del suo maestro Pende in calce al<br />
«Ma¬nifesto della razza»; lui che il io giugno del 1940 - ormai <strong>da</strong> ebreo persegu<strong>it</strong>ato - è<br />
nondimeno sceso con suo figlio (mio padre) in <strong>pia</strong>zza De Fer¬rari, a Genova, per raccogliere<br />
<strong>da</strong>ll'altoparlante la voce di Mussolini che annunciava stentorea l'entrata dell'Italia fascista nella<br />
secon<strong>da</strong> guerre mondiale; lui che, nell'Italia della Repubblica, non avrebbe comunque più r<strong>it</strong>rovato<br />
lo scranne della sua cattedra univers<strong>it</strong>aria.<br />
Tra i due schieramenti vi era incompatibil<strong>it</strong>à di valori:<br />
"La qual<strong>it</strong>à etica dei valori in nome dei quali le brigate partigiane (anche le Garibaldi) fecero la<br />
Resistenza risiede precisamente nella loro incompatibil<strong>it</strong>à con i valori in nome dei quali le brigate<br />
nere spalleggiarono la Wehrmacht e le SS nell’opera di repressione del band<strong>it</strong>ismo<br />
antifascista"(pag. 31).