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adattarsi Moquette e carta da parati, pia - Segnalo.it

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Emanuele Severino<br />

Lungo l'intera storia del pensiero occidentale, permane un tratto comune: l'affermazione<br />

dell'irrequietezza del mondo, gen<strong>it</strong>rice del dolore, l'affermazione del divenire del mondo.<br />

Il dolore è il divenire. E il divenire si manifesta come dolore estremo, quando è inteso in senso<br />

ontologico, cioè come oscillazione tra l'essere e il niente <strong>da</strong> parte degli enti.<br />

La fede in questo senso estremo del divenire, è il fon<strong>da</strong>mento dell'intero pensiero occidentale,<br />

ossia è comune sia all'intera storia dell'episteme, sia all'intera storia della distruzione dell'<br />

episteme: e pertanto è comune anche alla civiltà della tecnica.<br />

Dominare il mondo, organizzare mezzi in vista della produzione di scopi, significa organizzare il<br />

divenire delle cose.<br />

Non può esserci volontà che non sia volontà di far diventare le cose altro <strong>da</strong> quello che sono.<br />

Le cose del mondo, per l'Occidente, sono enti. La volontà dell'Occidente è volontà di far diventare<br />

gli enti altro <strong>da</strong> quello che sono. Essa presuppone, quindi, l'esistenza del divenire degli enti.<br />

Questo tratto permane anche nelle forme del pensiero contemporaneo apparentemente più<br />

lontane <strong>da</strong>ll'affermazione della volontà di potenza.<br />

In Emanuele Severino, Lezioni sulla pol<strong>it</strong>ica: i greci e la tendenza fon<strong>da</strong>mentale del nostro tempo,<br />

Christian Marinotti edizioni, 2002, p. 167/68<br />

in<br />

EMPATIA<br />

Al riguardo UMBERTO GALIMBERTI ha scr<strong>it</strong>to:<br />

«L’empatia è quella capac<strong>it</strong>à di intendere l’altro al di là della comunicazione esplic<strong>it</strong>a, di cui tutti si<br />

r<strong>it</strong>engono forn<strong>it</strong>i, soprattutto quelli che si fi<strong>da</strong>no ciecamente della loro “prima impressione”, senza<br />

neppure sospettare che con la prima impressione si viene a conoscere non tanto l’altro, quanto,<br />

appunto, la propria impressione cioè l’effetto che l’altro ha fatto su di noi, che non siamo specchi<br />

cristallini, ma vetri deformati <strong>da</strong>lla nostra v<strong>it</strong>a e <strong>da</strong>lla nostra esperienza, per cui, <strong>da</strong>lle nostre<br />

impressioni è più facile ricavare chi noi siamo e non tanto chi è l’altro. L’empatia mette in gioco<br />

spazio e tempo, in quella “giusta distanza” che impedisce all’amore di travolgere e all’indifferenza<br />

di raggelare. Empatia vuol dire “giusto tempo”, perché dove è in gioco il dolore (ma anche l’amore)<br />

ciò che conta non è la ver<strong>it</strong>à, che gli psicologi chiamano “diagnosi”, ma il tempo della sua<br />

comunicazione, che non deve essere né anticipato né r<strong>it</strong>ar<strong>da</strong>to. Anche per questo i Greci<br />

avevano una parola: kairós, il tempo opportuno, il tempo deb<strong>it</strong>o, il tempo dove la parola si incontra<br />

con l’ascolto senza fraintendimento in quella giusta coincidenza che la lunga frequentazione<br />

rende possibile e che conduce alla scoperta dell’irripetibil<strong>it</strong>à dell’individuo come intersezione di<br />

<strong>pia</strong>ni spazio-temporali imprevedibili, nonché al senso di un accadere infon<strong>da</strong>to, rivelato <strong>da</strong>l caso e<br />

intuibile nell’istante come kairós terreno, «tempo deb<strong>it</strong>o» di ogni cosa e di ciascuno, r<strong>it</strong>aglio<br />

temporale che ci viene offerto in dono, e dove la nostra quotidiana esperienza può trovare<br />

un’occasione per tornare a manifestarsi.»<br />

in GALIMBERTI

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