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CULTURE<br />
A conclusione di questo <strong>it</strong>inerario nel rancore, incontriamo un elemento che riconnette quanto<br />
detto ora sulla s<strong>it</strong>uazione <strong>it</strong>aliana con il significato più generale del "populismo globale". E che ci<br />
consente di individuare i segni tangibili di un percorso che non ha un solo luogo d'elezione: ha<br />
infatti a disposizione il mondo intero. Si tratta dei temi evocati <strong>da</strong>l sociologo tedesco Hans Magnus<br />
Enzensberger ne Il perdente radicale (Einaudi, 2007). Enzensberger segue le tracce di quella<br />
scia di sangue che attraversa l'orizzonte contemporaneo e che <strong>da</strong>lle nostre piccole barbarie<br />
domestiche ci conduce fino a incontrare la figura dei terroristi kamikaze. Dal caso degli<br />
adolescenti assassini nei college americani fino all'11 settembre c'è – suggerisce Enzensberger –<br />
un filo di disperazione e di rabbia, di cieca violenza e di studiata esaltazione del rancore che<br />
finisce per legare gli assassini di provincia ai killer delle Twin Towers. I primi indicano una<br />
tendenza, una possibil<strong>it</strong>à che si cela nelle contraddizioni manifeste di un modello culturale in crisi,<br />
i secondi fanno parte dell'eserc<strong>it</strong>o di coloro che socializzano questa crisi e ne fanno la bandiera<br />
di una guerra planetaria. In comune, questi due esempi apparentemente così lontani tra loro,<br />
hanno il senso della sconf<strong>it</strong>ta, la percezione di una inadeguatezza che si trasforma in furia<br />
omici<strong>da</strong>, in uno sterminato desiderio di morte e di distruzione. In entrambi i casi siamo di fronte a<br />
quelli che lo studioso tedesco presenta come "i perdenti radicali". Definizione riferibile non tanto a<br />
coloro che si possono percepire come gli sconf<strong>it</strong>ti della globalizzazione o delle trasformazioni<br />
culturali ins<strong>it</strong>e nella modern<strong>it</strong>à, quanto a quelli che non sono stati o non sono in grado di elaborare<br />
un vocabolario del cambiamento, un lessico emozionale con cui rispondere alle modifiche di breve<br />
o di lungo corso che attraversano il loro spazio di v<strong>it</strong>a. «In ogni momento — scrive Enzensberger<br />
— il perdente può esplodere. Questa è l'unica soluzione del problema che riesce a immaginare: il<br />
parossismo del disagio che lo fa soffrire».<br />
Il vero problema nasce però quando <strong>da</strong>lla follia individuale si passa a ciò che il sociologo<br />
definisce come la "socializzazione del rancore". «Che cosa accade quando il perdente radicale<br />
supera il suo isolamento, quando si socializza, quando trova una patria dei perdenti, <strong>da</strong> cui si<br />
ripromette non solo comprensione, ma riconoscimento, un collettivo di simili che lo accoglie a<br />
braccia aperte e ha bisogno di lui?», si chiede Enzensberger. È questo, ad esempio, l'orizzonte<br />
nel quale il terrorista kamikaze diventa una figura centrale, il simbolo di una cultura di morte che<br />
«progetta il suicidio di un'intera società». Qualcosa, conclude lo studioso tedesco, che l'Europa<br />
ha già conosciuto, proprio in Germania nel periodo tra le due guerre mondiali: quel vasto<br />
movimento all'insegna della frustrazione patriottica e del risentimento dei giovani maschi tornati <strong>da</strong>l<br />
fronte e non più esaltati come eroi, che fu lo scenario dell'ascesa del nazismo.<br />
in Hans Magnus Enzensberger