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Bollettino n. 184 - Società Filosofica Italiana

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interdipendenti». Tale struttura di «pensiero in movimento» consente di cogliere processi psichici<br />

complessi, come quello dell’interazione tra percezione/pensiero/sensazione. Riconoscendo<br />

nell’interazione di percezione, cognizione e azione la struttura dei processi di comprensione,<br />

Eckart Ruschmann applica al contesto pratico-operativo della consulenza il modello empatico di<br />

Elisa Ruschmann, elaborato e sviluppato sulla base del «pensiero in movimento» e inteso a<br />

mostrare come i processi di coscienza nella reciproca interazione siano relazionati al comportamento<br />

e all’azione. Il Modello-Empatia è un modello di «autocoscienza epistemologica», che<br />

tiene insieme tutte le componenti dell’individuo: percezione, cognizione, emozione e volontà, e<br />

come tale esso costituisce il modello concettuale della struttura dei processi di comprensione di<br />

sé e del mondo, un modello fondazionale della ‘reale’ comprensione come «cosciente opera di<br />

ricostruzione». Nel modello empatico confluiscono, dunque, due elementi teorici indispensabili<br />

per una coerente «giustificazione» della consulenza filosofica: un modello strutturale dei rapporti<br />

psichici ed una teoria del comprendere, mostrando chiare preferenze per le concezioni di Dilthey.<br />

Da filosofo e da psicologo, Ruschmann contribuisce così ad una prima fondazione teoretica<br />

della consulenza filosofica, recuperandola come attività professionale formativa e orientativa,<br />

e soprattutto applicativa della filosofia pratica. Nell’orizzonte riabilitativo della filosofia pratica,<br />

là dove l’interpretazione si impone come questione fondamentale, l’esperienza ermeneutico-esistenziale<br />

della consulenza esprime concretamente il senso del filosofare. Tale senso viene rigorosamente<br />

ripreso nel saggio di Rosaria Longo, introduttivo alla traduzione della prima parte del<br />

testo di Ruschmann. Impegnata a riflettere sulle questioni concrete connesse all’agire, e quindi<br />

sulle condizioni di possibilità della prassi individuale e sociale; perché questa sia operativa di<br />

senso e di valori, «la filosofia pratica tende a strutturarsi come pratica filosofica, prassi orientativa<br />

e formativa dell’esistenza, destinata a chiarificarsi continuamente». Alla luce della essenziale<br />

complementarietà di filosofia pratica e pratica filosofica – sulla quale insiste lo stesso<br />

Ruschmann al fine di fondare il sapere pratico, e per la quale la filosofia si configura come ermeneutica<br />

pratica intesa a comprendere le ragioni dell’esserci – Rosaria Longo avanza la possibilità<br />

di considerare la consulenza come esperienza di razionalità pratica, orientativa dell’azione. In tal<br />

senso la consulenza si inscrive all’interno di quell’approccio dialettico-ermeneutico della riabilitazione<br />

della filosofia pratica che il pensiero dell’ultimo Novecento ha proposto come istanza da<br />

rifondare, reinterpretare e ricomprendere.<br />

Alessandra Tigano<br />

M. Manfredi, Teoria del riconoscimento. Antropologia, etica, filosofia sociale, Le Lettere,<br />

Firenze 2004, pp. 275.<br />

Mario Manfredi ha al suo attivo varie pubblicazioni pregevoli su temi di antropologia e<br />

filosofia sociale, ma l’ultima, intitolata Teoria del riconoscimento ha una caratura speculativa<br />

speciale ed è la più organica. L’autore inizia con una fine analisi dell’Odissea e di tre tragedie<br />

euripidee sul filo dell’anagnorisis; non meno acute le riflessioni sull’agnitio ispirante le commedie<br />

plautine. Le pagine dedicate a dette opere d’arte poetico-letterarie mirano a convincere il lettore<br />

che «il riconoscimento letterario classico funziona come reintegratore di bene e di giustizia,<br />

quindi il dramma dell’identità è intrinsecamente etico». Dopo questo preludio, attestante peraltro<br />

un gusto estetico non comune, l’autore richiama il pensiero di Rousseau, Smith, Hegel e soprattutto<br />

Hume per individuare un concetto dell’io tale da definirlo «aperto all’alterità». In Hume<br />

Manfredi ravvisa la dimostrazione esemplare che l’io, l’anima, non è una sostanza in sé ma «una<br />

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