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Bollettino n. 184 - Società Filosofica Italiana

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«conoscenza dell’anima» ed alla distinzione tra cogito e cogitata. Del resto, si trae conferma<br />

di ciò dal celebre adagio dei Nuovi Saggi in cui Leibniz prende posizione intorno<br />

al problema dell’innatismo, tradendo la convinzione dell’indeducibilità della ragione 14 .<br />

Queste idee di una sostanza-azione a fondamento di un sistema dinamico dell’essere<br />

(l’«armonia prestabilita») e della superiore dignità della facoltà razionale costituiscono<br />

gli elementi che più seducono Fichte, in quanto ritenuti autenticamente trascendentali.<br />

Naturalmente, a giudizio di Fichte, la monade di Leibniz, pur essendo sostanza liberatasi<br />

dal giogo del meccanicismo ontologico classico, non raggiunge l’autocoscienza, non<br />

si coglie per intuizione intellettuale 15 . In definitiva, «per Fichte la monade (l’io finito) è<br />

attività capace di riflessione su di sé perché è costituita da un agire ritornante in se stesso»<br />

(p. 188). In questo modo la determinazione individuale coglie se stessa e fonda la<br />

Tathandlung dell’Ich. I principî dell’Io, poi, ne sanciranno l’impianto speculativo in<br />

quel gioco di identità e relazione (III Principio) che Fichte vedrà desunto proprio dal<br />

principio leibniziano di ragion sufficiente 16 . Secondo Fichte, dunque, Leibniz ha il merito<br />

d’aver intuito che la monade va descritta come sostanza attiva. C’è dell’altro. Essa è,<br />

s’è detto, «specchio vivente dell’universo», perché centro di rappresentazioni; è, inoltre,<br />

autonoma, pur rimanendo determinabile 17 . Ciascuna tende poi a combinarsi con<br />

l’altra nel quadro dell’«armonia prestabilita». È qui evidente l’analogia con le posizioni<br />

della Dottrina della scienza: anche l’Io si autopone (I Principio), si crea un mondo e<br />

con esso si confronta per determinare la propria identità.<br />

Tra le facoltà della monade Leibniz annovera la «percezione» e l’«appetizione».<br />

La prima si riferisce all’attività rappresentativa della stessa monade, la seconda al tendere<br />

da una percezione all’altra 18 . Di questo processo la monade più elevata, l’anima<br />

umana, ha consapevolezza, nel senso che appercepisce se stessa 19 . Il flusso di percezioni<br />

è continuo, anche quando esse sono «piccole» o pressoché «insensibili» 20 , a differenza<br />

della piena identificazione di pensiero e coscienza in Cartesio e Locke. Ora, il momento<br />

dell’appercezione costituisce, per Fichte, l’aspetto «empirico-dogmatico» di questa fon-<br />

14 Ci si riferisce al celebre passaggio dei Nuovi Saggi sull’intelletto umano (in Scritti filosofici,<br />

cit., v. II, p. 86) in cui G.W. Leibniz scrive: «Nulla è nell’anima che non venga dai sensi. Ma<br />

bisogna fare eccezione per l’anima stessa e le sue affezioni (Nihil est in intellectu quod non fuerit<br />

in sensu, excipe: nisi intellectus ipse)».<br />

15 Cfr. J.G. Fichte, Zweite Einleitung in die Wissenschaftslehre, in Gesamtausgabe..., cit., Bd. I 4,<br />

p. 276.<br />

16 Cfr. J.G. Fichte, Grundlage der gesammten Wissenschaftslehre, in Gesamtausgabe..., cit., Bd. I<br />

2, p. 272.<br />

17 Cfr. ivi, pp. 369-370.<br />

18 Cfr. G.W. Leibniz, Principî della natura e della grazia, cit., pp. 344-345.<br />

19 Cfr. ivi, pp. 345-346.<br />

20 Cfr. G.W. Leibniz, Nuovi Saggi…, cit., pp. 21-43.<br />

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