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Bollettino n. 184 - Società Filosofica Italiana

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struttura relazionale» mobile come cangianti continuamente sono le esperienze e i rapporti<br />

umani, onde la mobilità dell’io ha carattere evolutivo. Manfredi annota poi che se l’io è considerato<br />

sostanzialmente s’impone un’etica dogmatica costituita da principi assoluti; se invece relazionisticamente,<br />

l’etica derivante è relazionistica. Pertanto, chi ha a cuore principi etici assoluti<br />

sostiene la tesi dell’io sostanza, cadendo nel vizio dell’hysteron proteron, «consistente nell’anteporre<br />

un modello etico a una filosofia dell’identità». Non nascondo, a questo punto, che la concezione<br />

humiana dell’io è discutibile ed ontologicamente debole, come ogni deriva scettica. La<br />

domanda, infatti, sull’origine e causa dell’io quale «struttura relazionale» non facilmente può<br />

avere una risposta soddisfacente. Altro quesito: il relazionismo non è anche relativismo? Quanto<br />

al lamentato vizio dello hysteron proteron, mi sembra un giudizio temerario, non v’è alcun motivo<br />

per supporlo, ad es., per come Cartesio perviene all’affermazione della res cogitans. Ma la<br />

rapidità degli accenni di Manfredi su questa materia appare un segno che a lui interessa soprattutto<br />

dare un perno adatto ad un’etica capace di cogliere le multiformi esigenze del nostro tempo. E<br />

non senza civetteria egli collega il relazionismo alla concezione rinascimentale, espressa da Pico<br />

della Mirandola e da Marsilio Ficino, dell’indefinitezza della natura umana. Posto ciò, rileva che<br />

è ineludibile considerare l’identità personale «sempre in via di costituzione, bisognosa di una<br />

sempre rinnovata conferma di riconoscimento altrui». Naturalmente l’altrui può consistere anche<br />

nelle istituzioni e, a livello più alto, nella cultura. Quindi, considerando l’attuale compresenza di<br />

più culture nelle nazioni evolute, l’autore dedica pagine penetranti al multiculturalismo, mostrandosi<br />

in linea con le più avanzate tesi in materia. Una disamina critica speciale, in ideale dialogo<br />

con Habermas, riguarda la dottrina dei diritti naturali e dell’originaria uguaglianza degli uomini.<br />

Invero, per Manfredi ora va riconosciuto come universale il diritto del rispetto della dignità<br />

umana: per il resto, contano soprattutto i diritti delle e alle differenze e, in merito, egli distingue<br />

le diversità endogene (ad es. degli omosessuali e degli handicappati) e quelle subentrate storicamente<br />

di minoranze etniche, religiose ecc., specie per effetto di correnti migratorie. Ciò comporta<br />

che la politica del riconoscimento, lungi dall’accettare qualsivoglia egemonia mascherata da universalismo<br />

di comodo, rispetti ed esalti le differenze e pratichi «la tolleranza attiva, capace, non<br />

solo di sopportare e concedere, ma anche di curare, assistere, valorizzare, far crescere». Nel contesto<br />

delle «società aperte» Manfredi, in sintonia con Walzer, afferma che l’io è «costitutivamente<br />

plurale, diviso e composito, che vive in sé e negli altri la vicenda moderna di lacerazione e<br />

composizione». Volgendo poi l’attenzione al mondo esterno all’uomo, Manfredi compie una critica<br />

serrata alla tradizionale concezione antropologica che considerava l’uomo al di sopra e contro<br />

il mondo fisico, godendo della libertà di sfruttarlo senza remore e magari di distruggerlo. La<br />

crisi ambientale insorta recentemente «ha costretto a prendere coscienza del fatto che il mondo<br />

naturale è costitutivo dell’uomo». «L’identità umana e quella naturale sono inscindibili». Di qui<br />

l’etica – che Manfredi condivide con Jonas – imperniata sulla responsabilità dell’uomo a proteggere<br />

la natura. Certo, nella natura non esiste alcun valore in sé; i valori sono attribuiti dagli uomini<br />

con «scelte selettive», cioè in funzione del bene degli uomini. Perciò riconosciamo valore solo<br />

a ciò che giova all’uomo «altrimenti anche le pietre avanzerebbe pretese». Resta fermo – puntualizza<br />

l’autore – che il valore di cui qui si parla ha carattere rigorosamente etico: l’ambiente va<br />

riconosciuto come «bene etico». «C’è continuità sistematica» tra l’uomo e l’ambiente, e ciò comporta<br />

una responsabilità che supera i limiti della benevolenza sentimentale in quanto ha un fondamento<br />

«radicale e razionale». «Il mondo ha un’essenziale significazione umana». Alla luce anche<br />

di dolorose esperienze storiche Manfredi non tace che è possibile la negazione del riconoscimento<br />

in questione e di essa distingue due tipi: il misconoscimento e il disconoscimento; il primo è<br />

motivato da pretese cause naturali (es.: il pregiudizio dell’inferiorità della donna, secolarmente<br />

asservita ai maschi), il secondo deriva da vicissitudini come quelle patite dagli ebrei. Vivaci ed<br />

acute le pagine dedicate quindi alla condanna del razzismo e dell’antifemminismo. Tanto il rico-<br />

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