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Bollettino n. 184 - Società Filosofica Italiana

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tico considera questi beni come strumenti indispensabili per compiere azioni morali. La Gastaldi<br />

sostiene che neppure nel libro X dell’Etica Nicomachea questi due generi di vita si devono intendere<br />

come inconciliabili tra loro: infatti, il filosofo rimane un essere umano, perciò non solo ha<br />

bisogno dei beni necessari per vivere, ma nelle relazioni interpersonali con gli altri uomini agisce<br />

in conformità alle virtù etiche. La contemplazione teoretica non può essere totalizzante, altrimenti<br />

il filosofo coinciderebbe con la divinità; invece, dal momento che egli è e rimane un uomo,<br />

vive e conduce una vita di relazione, esattamente come tutti gli altri uomini. Perciò nel filosofo i<br />

due modelli di vita vanno a coincidere, nel senso che sono compresenti: è per questo che il<br />

sapiente è perfetto, perché esercita tutte le attività dell’anima, sia quella contemplativa, che quella<br />

etica. La Gastaldi a questo punto rileva che l’identificazione della felicità suprema con l’attività<br />

teoretica dovrebbe implicare il favore della divinità verso questa forma perfetta di eudaimonia:<br />

invece, il dio aristotelico non è affatto un dio che favorisce i sapienti, ma un dio che pensa se<br />

stesso e come tale rimane del tutto estraneo alle vicende degli uomini. In ogni caso però, il filosofo<br />

condivide con il dio l’esercizio della medesima attività contemplativa, seppure nel dio la<br />

theoria assume una dimensione totalizzante, mentre nel filosofo, come si è detto, questo non<br />

accade. Inoltre, secondo la Gastaldi, si può intendere che il filosofo goda del favore divino, sebbene<br />

indirettamente, in quanto la sua attività contemplativa viene premiata con la forma più elevata<br />

di eudaimonia.<br />

Come si accennava all’inizio, Aristotele sembra distinguere due generi di attività teoretica,<br />

quella pura che si realizza in solitudine, identificata con la filosofia in senso stretto e quella che<br />

coincide con una sorta di episteme architektonike: in questa intuizione di Aristotele si troverebbe,<br />

secondo la Gastaldi, la soluzione al dibattito tra i sostenitori e i detrattori di ciascuno dei due<br />

modelli di vita, teoretico e politico. Infatti, un regime politico giusto consente a tutti i cittadini di<br />

acquistare l’abito virtuoso e, di conseguenza, attraverso la pratica di azioni virtuose, permette loro<br />

il conseguimento della felicità. Pertanto il compito del legislatore è quello di promuovere l’acquisizione<br />

della virtù nei cittadini e così di indirizzarli verso l’eudaimonia. A questo scopo il fine<br />

della città è la cosiddetta schole, ossia il tempo libero in cui il cittadino può dedicarsi all’apprendimento<br />

degli abiti virtuosi. La Gastaldi nota che, mentre dalla Politica, seppure con qualche incertezza,<br />

emerge una nozione di schole intesa appunto come tempo libero da dedicare alle attività<br />

politiche, nell’Etica Nicomachea, invece, la schole sembra identificarsi esclusivamente con la contemplazione<br />

teoretica, ossia con l’esercizio del nous, attività decisamente solitaria da cui deriva<br />

l’unica felicità perfetta. Aristotele, dunque, sembra oscillare tra un’idea di theoria come telos collettivo<br />

della città e un’idea di theoria come telos individuale accessibile soltanto al sapiente. La<br />

separazione tra la prassi e la contemplazione, nell’Etica Nicomachea, trova il suo fondamento<br />

nella distinzione aristotelica delle parti dell’anima razionale: all’epistemonikon, la parte propriamente<br />

teoretica, spetta la sophia, che si identifica con la contemplazione, mentre al logistikon, la<br />

parte per così dire “calcolativa”, appartiene la phronesis, che presiede, come si è detto, all’acquisto<br />

delle virtù etiche. Occorre notare, con la Gastaldi, che perfino nel libro X, in cui senza dubbio la<br />

prassi subisce un’enorme svalutazione a favore della contemplazione teoretica, è possibile riscontrare<br />

una certa tensione, propria del pensiero aristotelico, che oscilla tra i due modelli di vita: infatti,<br />

alla fine del libro (E.N. X, 10, 1179 a 34 e ss.), Aristotele torna a parlare di politica e di virtù etiche.<br />

Nell’Etica Nicomachea, come nella Politica, il legislatore ricopre una funzione educativa e<br />

normativa, perciò deve possedere il sapere che deriva appunto dalla phronesis, virtù praktike per<br />

eccellenza. Tuttavia, questa forma di sapere non pare sufficiente ad Aristotele, che sembra affiancare<br />

al legislatore un’altra figura più autorevole, quella del filosofo della politica, detentore di una<br />

forma di sapere più elevata, finalizzata a individuare i principi teorici che regolano al meglio la<br />

città; principi di cui il legislatore si serve per svolgere al meglio la propria funzione. In ogni caso<br />

Aristotele non ammette mai il nesso platonico tra sapere e potere, tanto che lo scienziato della<br />

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