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Bollettino n. 184 - Società Filosofica Italiana

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Ma il testo di Coniglione ci ricorda come di recente proprio nell’alveo della filosofia analitica<br />

si susseguano lavori che ricostruiscono lo sviluppo storico delle tematiche proprie di questo<br />

movimento, allo scopo di meglio comprendere lo stato attuale della discussione. Ci si limita qui a<br />

citare l’ormai classico Alle origini della filosofia analitica di Michael Dummett (Bologna 1990), il<br />

lavoro di Coffa La tradizione semantica da Kant a Carnap (Bologna 1998), il Reconsidering<br />

Logical Positivism di Michael Friedman (Cambridge 1999) ed il recente, ampio studio di F.<br />

Stadler, The Vienna Circle. Studies in the Origins, Development, and Influence of Logical<br />

Empiricism (Berlin 2001), ora disponibile in inglese dopo la sua pubblicazione in tedesco. Sarebbe<br />

però un errore pensare che lo spazio assegnato all’indagine storica dei concetti finisca per andare a<br />

scapito della profondità teoretica. Nell’introduzione al suo libro Coniglione ci mette in guardia<br />

contro l’errore opposto ma speculare rispetto all’oblio della dimensione storica: l’appiattirsi su uno<br />

storicismo che finisca per diventare mera ricerca filologica, dimenticando la natura specificamente<br />

filosofica dei temi trattati. Occorre pertanto evitare uno stile di indagine per cui «la fedeltà storica<br />

finisce […] per essere una sorta di freno inibitore della immaginazione filosofica, della capacità di<br />

tracciare nuovi itinerari teoretici, di fornire audaci comparazioni che possono originare nuove figure<br />

teoriche, nuove idee filosofiche, nuove originali prospettive» (p. VIII).<br />

La parola liberatrice è anche la parola che riesce a mostrare ciò che non può essere detto,<br />

secondo la celebre distinzione tra «dire» e «mostrare» compiuta da Wittgenstein nel Tractatus. A<br />

ciò che può essere solo mostrato e non può essere colto attraverso la mediazione discorsiva attiene<br />

il mistico, ma anche la logica, l’etica e l’estetica. Com’è noto, Wittgenstein precisò in una lettera a<br />

Ludwig von Ficker che il suo Tractatus consisteva di due parti, quella scritta e quella non scritta, e<br />

che la parte non scritta era proprio quella più importante. Riprendendo tale tema, l’autore precisa<br />

che per Wittgenstein «non è possibile un discorso diretto sull’ineffabile […] ma solo indiretto,<br />

cioè col parlare solo di ciò di cui si può parlare», in quanto «non è possibile che il mistico si mostri<br />

senza che si dica ciò che può essere detto, perché solo in esso è contenuto l’ineffabile; solo nella<br />

scienza, nella logica si mostra il mistico, che però non è la logica e la scienza» (p. 124).<br />

Questa tematica è trattata in particolare nelle pagine che Coniglione dedica al nesso fra<br />

misticismo e matematica in Russell e Wittgenstein, nelle quali per la prima volta viene messo in<br />

luce il poco noto ed indagato misticismo di Russell in rapporto con quello più conosciuto di<br />

Wittgenstein, trovandosi in tale snodo la spiegazione di molte caratteristiche del difficile rapporto<br />

tra i due grandi filosofi. Ma si può dire che la distinzione tra queste due dimensioni – quella di ciò<br />

che può essere comunicato attraverso la mediazione concettuale e la razionalità discorsiva, di contro<br />

all’intuizione immediata che non può essere tradotta in parole e rimanda a una saggezza prefilosofica<br />

– attraversi come una vena sotterranea l’intero volume. Essa è infatti presente in maniera<br />

esplicita anche nel saggio su Moritz Schlick, in cui la distinzione tra kennen, ovvero l’intuizione<br />

immediata, ed erkennen, la conoscenza mediata concettualmente, è indispensabile per capire la<br />

posizione di questo pensatore nel celebre dibattito interno al Circolo di Vienna sugli enunciati protocollari<br />

e sulle constatazioni. Questo tema rimane un filo conduttore anche nei due contributi<br />

sull’idealizzazione e su Popper e la scuola di Poznan, dato che, come rileva l’autore, «del logos è<br />

erede la scienza moderna, che di esso raffina l’aspetto della razionalità astratta e disincarnata». È<br />

nell’idealizzazione (ossia nella costruzione di modelli astratti in grado di spiegare i fenomeni pur<br />

non avendo un referente ontologico reale), più che nell’astrazione tipica della tradizione empiristica,<br />

che viene rintracciato «il cardine di ogni processo razionale e scientifico» (p. XIX).<br />

Gli ultimi due saggi che compongono il volume affrontano temi di grande attualità: le<br />

epistemologie naturalizzate e il rapporto tra relativismo epistemico e società libere. Anche questi<br />

saggi sono pervasi dall’antinomia fondamentale tra la dimensione esplicita delle regole formalizzate<br />

e quella «dimensione tacita», messa in luce da Polanyi, che comprende la competenza pratica,<br />

la quale non si fissa in norme univoche ma costituisce la capacità acquisita sul campo dagli<br />

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