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Bollettino n. 184 - Società Filosofica Italiana

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Per tornare al confronto fichtiano con il filosofo di Lipsia, è la monadologia,<br />

tutta intrisa del suo teosofico teleologismo, ad essere protagonista. In realtà, come<br />

dimostra Ivaldo, si tratta di autori dalle molte analogie. Entrambi risultano logorati<br />

dall’Assoluto e sedotti dall’individuo. Ma più di qualche interrogativo impensierisce.<br />

La monadologia di Fichte è un conto, la monadologia nel suo sviluppo storico-genetico<br />

è, come s’è accennato, tutt’altra cosa. A Fichte giunge un certo Leibniz, per giunta<br />

indirettamente. Lo colpiscono alcune tematiche. Non c’è alcun interesse, però, per<br />

l’itinerario speculativo da cui sono scaturite, anche perché sono questioni che occorrono<br />

solo in funzione dell’elaborazione del sistema dell’idealismo. Questo è quanto si<br />

può arguire dal testo di Fichte e dai percorsi della sua lettura di Leibniz così attentamente<br />

ricostruiti da Ivaldo. Torna lo stesso problema, però: l’intenzione dichiarata di<br />

Ivaldo è quella di contribuire a gettare luce sul pensiero di Leibniz attraverso l’analisi<br />

della riflessione fichtiana. Ora, trova davvero una nuova luce il pensiero di Leibniz se<br />

letto attraverso le categorie fichtiane? Com’è possibile illuminare Leibniz mediante<br />

Fichte? Visto che non è il Leibniz storico, come può sollecitare nuove letture della<br />

sua filosofia? Come tornare a leggere Leibniz movendo da Fichte senza una robusta<br />

emendatio intellectus?<br />

A Fichte manca il senso dello sviluppo del pensiero di Leibniz, senza la cui<br />

matrice logica la filosofia matura appare davvero monca. Del filosofo di Lipsia, dunque,<br />

si coglie solo un tratto e nemmeno il più originale, dimenticando che la monadologia<br />

è il frutto della creatività dell’inventore del calcolo infinitesimale e del coniatore del<br />

termine «logica matematica». Tutto questo raccolto in un’unica mente speculativa,<br />

visto che non è dato supporre, alla luce delle testimonianze, un clamoroso caso di sdoppiamento<br />

della personalità. Se, dunque, è con un Leibniz dimezzato che Fichte ci conduce,<br />

indirettamente, a confrontarci, allora la sola luce sul pensiero di Leibniz che può<br />

sopraggiungere da questo studio è quella relativa alla Wirkungsgeschichte della sua<br />

filosofia o quella discendente da una piú piena presa di coscienza degli aspetti della sua<br />

meditazione che più ebbero a colpire ed a condizionare la riflessione filosofica successiva.<br />

In verità, non rimane molto altro. Detto altrimenti, se uno studioso di Fichte trova<br />

utilissimo lo scandaglio delle fonti dirette ed indirette del suo pensiero, il cultore del<br />

pensiero leibniziano trova il proprio autore lacerato, a tratti selvaggiamente segmentato.<br />

Anche qui, tutto ciò ha precise ragioni storiche su cui ci siamo soffermati, ma – viene<br />

da chiedersi – può davvero fluidificare i percorsi dell’ermeneutica leibniziana?<br />

Alla luce di tali considerazioni, è possibile ritornare a riflettere sul senso e sui<br />

livelli possibili della «lettura prospettica» (p. 164) di Leibniz auspicata da Ivaldo.<br />

Certo, così facendo, si aprono solidi spiragli intorno alla descrizione della latitudine<br />

storica del pensiero di Leibniz, per quanto sempre rispetto ad un «angolo visuale», nella<br />

fattispecie la filosofia trascendentale di Fichte. Ivaldo cita, al riguardo, Reinhardt<br />

Lauth, il quale, nel descrivere il senso e le caratteristiche della «veduta prospettica»,<br />

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