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Bollettino n. 184 - Società Filosofica Italiana

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ibadisce come essa «lasci trasparire la perennità della filosofia» 33 . Se tale philosophia<br />

perennis, dunque, è quella fichtiana, allora è assai difficile «poter comprendere Leibniz<br />

nei suoi nuclei decisivi» (p. 164), com’è nelle intenzioni di Ivaldo. La lettura prospettica<br />

in tanto ha un senso in quanto si lega ad un punto di vista stabilito a priori. La storia<br />

serve a confermarlo. Altra cosa, questa, rispetto al rigore dell’esercizio storiografico e<br />

forse anche rispetto agli itinerari della comprensione ermeneutica. In altri termini, va<br />

tutto bene finché si parla di Fichte. Sorge più di qualche problema allorché si focalizza<br />

l’attenzione su quel che di Leibniz possiamo studiare, analizzandone i testi.<br />

Tutto questo proprio perché la teoria delle monadi costituisce un’affascinante –<br />

in parte simbolica – risposta ai problemi della scienza del suo tempo. Senza dimenticare,<br />

poi, che il filosofo del Discorso di metafisica, come va ribadito, è lo stesso che<br />

riflette sulle ragioni di una Mathesis universalis, primo e decisivo momento anteriore<br />

alla realizzazione di un’enciclopedia del sapere affidata nelle mani di dotti in grado di<br />

porsi al servizio del genere umano. In questo percorso confluiscono temi lulliani, suggestioni<br />

neoplatoniche (Bisterfeld), ideali pansofici (Comenio), ma anche la messa a<br />

punto di tecniche di riduzione alle definizioni e di calcolo integrato di concetti semplici<br />

verso la realizzazione di una logica inveniendi finalmente messa nelle condizioni di<br />

celebrare l’unità del genere umano, specchio vivente dell’unità dell’essere e dell’armonia<br />

dell’universo. Logica, matematica e metafisica, dunque, costituiscono un tutt’uno<br />

difficilmente districabile. Ed un interprete del suo pensiero non può non tenerne conto.<br />

Chiariti questi passaggi, si deve comunque convenire con Ivaldo nell’intendere<br />

Leibniz una «polarità feconda» (p. 356) nell’architettonica del sistema fichtiano; così<br />

come si lascia appieno apprezzare l’acribica attenzione rivolta dall’Autore ai percorsi<br />

della ricezione leibniziana da parte di Fichte. Si è, in tal modo, ottenuto un nuovo capitolo<br />

della presenza del pensiero di Leibniz nel Settecento ed uno spaccato della cultura tedesca<br />

da cui presero spunto i principali protagonisti dell’idealismo ottocentesco. Come ha provveduto<br />

a fare Ivaldo rispetto a Fichte, infatti, si potrebbe operare nel segno del medesimo<br />

schema in relazione a Schelling ed a Hegel, in ordine al pensiero dei quali la filosofia di<br />

Leibniz svolge un ruolo di primissimo rilievo. Difatti i tre “eroi” dell’idealismo, meditando<br />

sulle posizioni kantiane e rintracciandone i fondamenti, trassero spunti fecondi dal<br />

simbolico contrasto Leibniz-Spinoza e, soprattutto, dall’impianto del sistema leibniziano<br />

degli elementi semplici. Leibniz costituì perciò un modello, per quanto aggiogato al punto<br />

di vista idealistico. Rimangono comunque vive le potenzialità di un pensiero, quello di<br />

Leibniz, capace di stimolare dal profondo i cultori romantici dell’assoluto, ed un altro,<br />

quello di Fichte, in grado di offrire una chiave di volta ai problemi dell’essere e del vero<br />

attraverso la messa a punto – con Kant ed oltre Kant – dei principî trascendentali dell’Io.<br />

33 R. Lauth, Leibniz…, cit., p. 17.<br />

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