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Bollettino n. 184 - Società Filosofica Italiana

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noscimento quanto la sua negazione impegnano una responsabilità dettata dalla natura stessa,<br />

come è il caso dei bambini malati gravi e minorati, non solo, ma anche dei poveri e degli indifesi<br />

anche animali. Tale responsabilità è strettamente etica, a differenza da quanto sostiene Jonas. Dal<br />

quale Manfredi dissente anche circa il mondo dei non viventi, poiché anche verso tale mondo,<br />

dice Manfredi, va assunto il riconoscimento etico, quindi la responsabilità morale. Con ciò<br />

l’uomo realizza la sua «trascendenza», la sua «sovradeterminazione» rispetto al mondo stesso.<br />

Ovviamente, per riconoscere i soggetti non viventi (opere d’arte, paesaggi suggestivi ecc.) come<br />

«beni», è necessaria la cultura. Manfredi inoltre illustra l’inaccettabilità delle discriminazioni giustificate<br />

con ragioni pseudonaturalistiche (es. contro i neri ritenuti di razza inferiore). Ma forse<br />

uno dei capitoli più encomiabili del libro è quello dedicato all’umanità futura. Confutando ogni<br />

obiezione e riserva, l’autore dimostra che sulla posteriorità va esercitata in pieno la responsabilità<br />

protettiva, senza limiti di spazio e di tempo, onde è dovere primario dell’umanità attuale adottare<br />

ogni politica mirata a che la posteriorità viva meglio di noi. L’opera di Manfredi è, in complesso,<br />

di vasto respiro, ricca di spunti eccellenti, in cui i riferimenti bibliografici sono ampi, aggiornati,<br />

circostanziati, senza ostentate compiacenze erudizionali: presenta una teoria che credo originale,<br />

basata sulla categoria etica del riconoscimento, con uno sviluppo argomentativo lineare, rigoroso<br />

e coerente, espresso con uno stile lucido ed essenziale. Pertanto, il volume può essere inserito tra<br />

i punti di riferimento importanti nel dibattito attuale sulle tematiche etico-sociali.<br />

«Il Protagora», XXXI, quinta serie, 1-2 (2003), pp. 432.<br />

Rocco Zagaria<br />

Riprende le pubblicazioni la rivista di filosofia e cultura «Il Protagora». Fondata nel 1959<br />

da Bruno Widmar e dallo stesso diretta fino al 1980, aveva dato vita ad una nuova serie nel<br />

decennio 1982-1992 ad opera dei suoi più diretti allievi. Questo fascicolo battezza la quinta serie<br />

della rivista, diretta da Fabio Minazzi, il quale, nell’esprimere «le ragioni de “Il Protagora”»,<br />

scrive che la rivista «si ripresenta […] memore delle proprie radici e della propria storia pluridecennale,<br />

pienamente consapevole della necessità culturale di mantenere ben salda sia l’apertura<br />

critica del proprio irrinunciabile impegno razionalista, sia la sua altrettanto tradizionale consapevolezza<br />

sulla piena responsabilità civile della riflessione filosofica» (pp. 5-6). Intenti, questi,<br />

decisamente in linea con quelli espressi da Widmar nella presentazione del primo numero della<br />

rivista. In quella circostanza si era ribadita l’urgenza di celebrare la «funzione civile» della filosofia,<br />

tesa ad affidarsi ai percorsi fallibili e determinati di una ragione critica e finita. Negli anni<br />

gli orizzonti culturali cambiano, ma rimane l’impianto delle strategie per affrontare i problemi.<br />

Un libero esercizio della ragione, già richiamato da Widmar, si dispone ad interpretare le coordinate<br />

critiche di un tempo, come il nostro, destinato a fare i conti con le molteplici ricadute delle<br />

conoscenze tecnico-scientifiche. A lungo considerate il nemico giurato della cultura umanistica,<br />

queste ultime guidano e condizionano l’orizzonte delle scelte individuali e collettive. Non solo.<br />

Considerare i gesti razionali come “tecniche” adoperate per trattare le questioni consente di<br />

instaurare un proficuo dialogo tra l’invenzione teorica ed il mondo della prassi, nell’ottica, per<br />

l’appunto, di un recupero pieno della dimensione civile della filosofia.<br />

Tutto ciò non costituisce, secondo Minazzi, la premessa per la redazione di un manifesto<br />

programmatico. D’altro canto, l’esperienza del razionalismo critico cui egli si richiama<br />

non presenta certo contorni univoci e definitivi. Costituisce, piuttosto, il trionfo di una forma<br />

di pluralismo culturale e metodologico, per quanto persista «un’unità etico-civile programma-<br />

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