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Bollettino n. 184 - Società Filosofica Italiana

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movimento (cfr. il contributo di Antonello D’Angelo). Anche per questo motivo il dibattito sulle<br />

categorie si dimostrò fin dall’inizio suscettibile di novità e aperto. Una sorta di spostamento del<br />

baricentro della sua problematica ebbe luogo prematuramente, già con lo Stoicismo e si realizzò<br />

nei termini della scoperta dell’uso delle categorie come strumenti di descrizione di oggetti fisici<br />

concepiti unitariamente. Anna Maria Ioppolo avverte che tale spostamento della «dottrina delle<br />

categorie […] all’ambito della fisica» si colloca su un piano che allontana di molto il lettore dalla<br />

originaria prospettiva aristotelica. Allontanamento che viene confermato anche dalla ricerca di<br />

Francesca Alesse, che getta luce sul processo di identificazione della categoria di sostanza con il<br />

concetto di materia, risalente a Zenone e a Crisippo. Pur continuando a scavare in direzione della<br />

formulazione di una sempre meglio definita idea di identità, tale processo di assimilazione dimostra<br />

quanto in area stoica l’originario interesse aristotelico per i generi e per le specie abbia perso<br />

senso, sostituito da una ricerca di ciò che è esistente e viene concepito univocamente come individuo.<br />

In questa prospettiva «i generi e le specie aristotelici» sono divenuti puri e semplici contenuti<br />

mentali, destituiti di ogni tipo di valenza ontologica. Si tratta di un’evoluzione decisiva<br />

dell’intero dibattito che è destinata ad acutizzarsi nell’ambiguo rapporto, tutt’altro che privo di<br />

elementi di «sfruttamento concettuale o terminologico», tra categorie aristoteliche e tropi scettici<br />

(si veda su questo l’articolato contributo di Emidio Spinelli). Quando l’intera discussione critica<br />

sulle categorie aristoteliche giunge fra le mani di Plotino, il dibattito sull’intero Organon ha già<br />

fatto emergere tutte le aporie che in esso si celavano ed è proprio nelle pieghe di certe insolubili<br />

contraddizioni che la mente dell’autore delle Enneadi si insinua per escogitare una soluzione in<br />

grado di risolvere alcune indeterminatezze presenti nella visione aristotelica del mondo naturale.<br />

Sarà attraverso l’elaborazione della teoria platonica dei gradi dell’essere che egli giungerà a<br />

ripensare il fondo del rapporto tra logica e fisica (cfr. quanto scrive al proposito Riccardo<br />

Chiaradonna).<br />

Raggiunto il margine dell’epoca moderna, i contributi di Pietro Secchi e di Massimo<br />

Luigi Bianchi scandiscono con fini analisi esegetiche il ruolo che alcuni concetti categoriali ebbero<br />

rispettivamente nel sistema filosofico di Niccolò Cusano e nella visione mistica della natura e<br />

dell’esistenza umana di Valentin Weigel, prendendo in particolare considerazione, da un lato, il<br />

termine quantitas e, dall’altro, il concetto di luogo naturale e di legge divina. Ancora più spostati<br />

sul moderno sono i contributi di Eugenio Canone (il concetto di sostanza in Bruno), Luciano<br />

Albanese (la categoria di relazione nello scetticismo), di Ettore Lojacono (il problema dell’esistenza<br />

di una logica in Descartes) e di Pina Totaro (l’uso dei concetti di qualità e di quantità tra<br />

Galileo, Descartes e Spinoza). In quest’area del volume si colgono i lineamenti della costituzione<br />

di un coerente ragionare sull’essere che giungerà tanto in profondo nella storia del pensiero<br />

umano, fino a lambire il nostro stesso tempo e il pensiero di autori come Schopenhauer e<br />

Nietzsche. Agli albori del moderno il problema della permanenza dell’essere viene sempre più<br />

‘vissuto’, ovvero considerato nei termini della possibilità di una realtà intesa come intrinseca a<br />

tutto ciò che è umano e non più come indipendente da esso. In questa congiuntura il tema delle<br />

strutture della mente viene sempre più assimilato a quello della logica della vita. Nel giuoco bruniano<br />

delle coincidenze concettuali, il rinvio all’idea di monade pone il problema del rapporto<br />

molteplice-unità in una maniera che ne fa emergere il colore morale. «Vedere e intuire Diana –<br />

commenta Eugenio Canone misurandosi con il linguaggio figurato degli Eroici furori – comporterebbe<br />

una radicale trasformazione del soggetto conoscente». Qui, il dramma dell’uomo è invero<br />

il dramma dei suoi limiti percettivi; della sua stessa possibilità di intuire il divino e del suo rifiuto<br />

di concepirlo come un ente astratto irraggiungibile ed estraniato. Una risposta legittima a tale<br />

dramma è rappresentata dall’opzione scettica, che, tra i moderni, assume immediatamente<br />

l’aspetto di un’opzione a favore della relatività dei valori teoretici ed etici e coinvolge così<br />

profondamente tutto l’uomo da generare il bisogno di una radicale ricerca metodologica. La filo-<br />

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