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Bollettino n. 184 - Società Filosofica Italiana

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nell’alveo del dogmatismo. «Questa brillante rappresentazione di Leibniz – scrive Ivaldo<br />

– è insieme un’autorappresentazione di Schelling stesso, o meglio del suo proprio programma<br />

sistematico» (p. 47): come al solito, Leibniz «precorre», ma va «superato».<br />

Dalla ricezione delle prese di posizione filosofiche del suo tempo su Leibniz,<br />

Fichte impara ad intendere la natura dei nuclei problematici del pensiero leibniziano.<br />

Egli è impensierito dalle analogie e dai contrasti con Spinoza ravvisati da Jacobi, è<br />

sedotto dall’impianto della lettura leibniziana di Schelling, ma non concorda con gli<br />

scopi dimostrativi del primo, né con il disegno speculativo del secondo, ormai alle<br />

soglie del Sistema dell’idealismo trascendentale (1800). Il vero carattere dell’approccio<br />

di Fichte a Leibniz è «il radicamento dell’eredità trascendentale kantiana» (p. 48). Il<br />

resto è, per così dire, una questione di contorno.<br />

Nella Seconda introduzione alla Dottrina della Scienza Fichte osserva che<br />

Leibniz, «se inteso bene […], ha ragione» 4 . Kant aveva definito la «convinzione» un<br />

«tener per vero», un atteggiamento di pensiero, «valido per chiunque possieda ragione»,<br />

teso a rintracciare un solido fondamento a giustificazione della realtà delle cose 5 . A<br />

Fichte, Leibniz appare «convinto». Lo stesso potrebbe dirsi di Spinoza e di Kant, se<br />

non fosse che al primo manca la capacità di «riflettere nel pensiero sul suo proprio pensiero»<br />

ed al secondo un’adeguata deduzione trascendentale in grado di abbattere il<br />

‘muro’ del noumeno. Secondo Fichte, Leibniz supera l’«illusione» kantiana della presenza<br />

di una «cosa in sé» o, meglio, non ne rimane vittima. In questo senso «ha ragione»:<br />

tutto può essere spiegato risalendo al Principio unico dell’essere. Tutto sta nel<br />

saperlo trovare. Ciononostante Leibniz dev’essere bene inteso, poiché le sue intenzioni<br />

convivono con una spessa crosta dogmatica.<br />

La monade è un principio attivo, che tuttavia non riesce a riflettersi su di sé. Lo<br />

schema della monadologia, dunque, è valido, è combinabile con il punto di vista trascendentale<br />

e da quest’ultimo bisogna partire per restituire Leibniz alla pienezza del<br />

suo pensiero. Ciò è possibile – secondo il metodo teorizzato da Fichte – distinguendo la<br />

lettera dei testi dallo spirito che vi circola, così, in nome di una sorta di comune afflato<br />

trascendentale, si può trascegliere l’essenza speculativa dagli epifenomeni, una volta<br />

considerato il punto di vista idealistico-trascendentale come il punto d’approdo della<br />

Filosofia 6 . Nella fattispecie, nella monade circola lo spirito dell’«appercezione trascendentale»<br />

kantiana e nell’«armonia prestabilita» la categoria della relazione. Ci sono<br />

4 J.G. Fichte, Zweite Einleitung in die Wissenschaftslehre, in Gesamtausgabe der Bayerischen<br />

Akademie der Wissenschaften, hrsg. von R. Lauth, H. Jacob, H. Gliwitzky, E. Fuchs, Stuttgart-<br />

Bad Cannstatt 1962 ss., Bd. I 4, p. 265.<br />

5 Cfr. I. Kant, Critica della ragione pura, cit., p. 797.<br />

6 Com’è noto, tale metodo è teorizzato da J.G. Fichte in Über Geist und Buchstab in der<br />

Philosophie. In einer Reihe von Briefen, in Gesamtausgabe...., cit., Bd. I 6, pp. 313-361.<br />

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