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Bollettino n. 184 - Società Filosofica Italiana

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sofia cartesiana risulta priva di una scienza logica tradizionale perché l’obbiettivo al quale essa<br />

aspira è quello di aprire l’orizzonte umano «a un’intelligibilità del mondo – come avverte Ettore<br />

Lojacono – […] così come l’uomo può pensarlo e parlarne». Il rifiuto delle categorie da parte di<br />

Cartesio ha il senso di una rivendicazione e il significato di una liberazione. Quel senso di distinzione<br />

e di chiarezza che egli ricerca si collega ormai indissolubilmente al desiderio di padroneggiare<br />

il mondo e le sue strutture, percependole come domini propri e dipendenti da un’esperienza<br />

tutta personale. È per questo che i concetti di qualità e di quantità divengono il centro di una<br />

riflessione fisica e metafisica nella quale l’uomo tenta sempre più di marcare una linea netta e<br />

precisa fra se stesso e l’esperienza mondana, finendo nondimeno per rendersi conto che il problema<br />

che gli si pone con sempre maggiore urgenza è rappresentato dalla necessità di trovare il<br />

modo di dirimere e di definire i domini dell’oggettività e della soggettività.<br />

La tensione tra i concetti di unità e di molteplicità nella metafisica di Leibniz sta così al<br />

centro del compatto contributo di Antonio Lamarra, dal quale emerge il senso di una ricerca sui<br />

livelli di realtà che sono implicati in questi stessi concetti. A un simile livello, gli obbiettivi generali<br />

a cui Leibniz tende con la sua riflessione metafisica sono quelli di sottrarre la mente dal<br />

dominio perverso della molteplicità e di dimostrare l’assoluta semplicità delle sostanze spirituali.<br />

Il suo scopo è di dimostrare che la molteplicità corporea finisce per risolversi in un determinato<br />

gruppo di unità costitutive, la cui natura è semplice e spirituale. Ciò significa, in sede fisica,<br />

attaccare frontalmente il corpuscolarismo meccanicista e l’atomismo, sostituendoli con una dinamica<br />

delle forze vive, e, in sede metafisica, garantire una volta per tutte l’autonomia della sostanza<br />

come «indivisibile metafisico», grazie all’idea di forma sostanziale intesa come «legge interna<br />

di sviluppo». In tutto ciò, l’analisi del significato che per lo stesso Leibniz ha assunto la nozione<br />

di relazione ha un valore decisivo, in quanto soltanto attraverso di essa è possibile cogliere<br />

l’accezione particolare del concetto di realtà come aggregazione che Leibniz stesso adotta e utilizza.<br />

Battendo questa via, peraltro – così come fa Roberto Palaia –, si raggiunge il punto della<br />

riflessione del filosofo di Leipzig nel quale si trovano enucleati i concetti di proporzione e di spazio.<br />

Essi hanno un’importanza decisiva non soltanto per la conoscenza del mondo esterno, ma<br />

anche perché presentano un interno riflesso nella stessa anima umana, dove possono rappresentare<br />

una solida base dalla quale prendere le mosse per formulare una nuova psicologia. Questa<br />

linea di ragionamento avrà un enorme sviluppo nell’analisi del rapporto tra ontologia e logica in<br />

Wolff e nella riflessione vichiana sulla dottrina delle sostanze, sui generi delle cose e sui punti<br />

metafisici (a questi argomenti sono dedicati i contributi di Pietro Pimpinella e di Marco<br />

Veneziani). Tanto in Vico che in Wolff, da prospettive certamente distanti, si assiste a due tentavi<br />

di fondazione totale: la definizione del processo evolutivo che dall’interno dell’uomo diventa<br />

progressivamente la stessa modalità del percorso storico e la determinazione scientifica della<br />

metafisica, in virtù della sostituzione del concetto di sostanza con quello di ente, a partire da una<br />

rifondazione della logica integralmente basata sull’esemplarismo dei procedimenti matematici.<br />

Per Wolff la metafisica deve essere prima di tutto un’ontologia naturale e per questo egli recupera<br />

in modo originale lo stesso valore ontologico che Aristotele aveva attribuito alle categorie. Il<br />

concetto di ente nasce qui direttamente a contatto con la categoria della possibilità e acquisisce<br />

un grado di generalizzazione assai più ampio di quello di sostanza. Il modo dell’impossibilità è in<br />

sé contraddittorio e inopinabile. Il determinato è l’essenza, ma l’esistenza non si pone necessariamente<br />

a partire da essa. La mente intuisce attraverso la sensibilità l’esistenza degli enti e deduce<br />

la loro essenza in quanto possibile. Si tratta di due livelli di realtà radicalmente differenti tra loro,<br />

ma la possibilità di concepire l’ente dipende sempre e soltanto non dal fatto che qualcosa esiste,<br />

ma dal fatto che qualcosa può essere dedotto. In una certa misura tutto ciò ci introduce già nelle<br />

successive analisi sulla filosofia kantiana condotte da Mirella Capozzi e da Hansmichael<br />

Hohenegger, rispettivamente sui limiti e le prerogative della logica formale e sulla funzione<br />

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