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Bollettino n. 184 - Società Filosofica Italiana

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ausili: le «relazioni intermonadiche», l’«appetizione», l’«armonia prestabilita», le «piccole<br />

percezioni».<br />

È la teoria dell’«armonia prestabilita», però, a colpire Fichte in modo più intenso.<br />

Un aspetto, in particolare: Leibniz aveva definito la monade un «centro» di rappresentazioni,<br />

lo «specchio vivente dell’universo» 11 . Come si dà – si domanda Fichte – un simile<br />

circuito di rappresentazioni? L’«armonia prestabilita» risolve il problema, essendo un<br />

universo nel quale si corrispondono singole determinazioni individuali. In questo senso<br />

essa costituisce una «buona ipotesi», per quanto l’ordine delle relazioni intermonadiche<br />

non preveda come proprio elemento costitutivo il fondamento speculativo della libertà.<br />

Solo un’idea di ragione come quella proposta da Kant nella Critica della ragion pura<br />

avrebbe trasformato questa «buona ipotesi» in un autentico sistema speculativo, l’armonia<br />

prestabilita in un’«armonia trascendentale» (p. 132). Leibniz continua invece ad ipostatizzare<br />

la monade, ricadendo «in un’ontologia dogmatica» (p. 136), quella che riconosce<br />

un essere originario rispetto a cui subordinare ogni manifestazione di pensiero.<br />

II. Estremamente significativa è la Parte terza del libro di Ivaldo. Qui lo studioso<br />

propone una «‘lettura prospettica’» (p. 164) del pensiero di Leibniz; una lettura, in altri<br />

termini, di Leibniz dal punto di vista di Fichte, volta a chiarire il senso della ricezione<br />

fichtiana del sistema monadologico. Con un ulteriore obiettivo: cercare di far chiarezza su<br />

alcuni punti oscuri di quest’ultimo proprio a muovere dalle interpretazioni fichtiane.<br />

Detto altrimenti, l’intento è di instaurare un circuito ermeneutico di reciproco rinvio, allo<br />

scopo di consentire a ciascuno dei due autori di chiarirsi attraverso il contributo dell’altro.<br />

Tale interazione interpretativa non si realizza certo trascurando le differenze, i contesti,<br />

gli obiettivi critici di questi due colossi del pensiero moderno e contemporaneo, ma, nel<br />

delineare i contenuti delle prospettive filosofiche, intende evidenziare quanto un pensiero<br />

«ha saputo dischiudere di conoscenza vera e perciò autenticamente ricevibile e sviluppabile»<br />

(ibid.). Il tutto ispirato dalla «convinzione che la veduta fenomenologica offra un<br />

accesso produttivo per una comprensione filosofica rilevante delle posizioni filosofiche»<br />

(p. 165), nella fattispecie del sistema filosofico di Leibniz.<br />

Assumiamo, per ora, quest’assunto in forma problematica. E non potrebbe essere<br />

altrimenti, dal momento che in una simile impostazione emerge la convinzione secondo<br />

cui è l’assetto speculativo della filosofia trascendentale a costituire il metro di valutazione<br />

dei singoli percorsi di pensiero precedenti e storicamente determinati. Può essere, certo,<br />

legittimo pensare di chiarire certi percorsi partendo dal modo in cui un dato autore li ha<br />

intesi. Ma questo può significare allontanarsi dalla lettera dei testi. Studiare, infatti, il<br />

11 G.W. Leibniz, Principî di filosofia o Monadologia, in Scritti filosofici, voll. 3, a c. di M.<br />

Mugnai e E. Pasini, Torino 2000, v. III, p. 461.<br />

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