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Bollettino n. 184 - Società Filosofica Italiana

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Giovanni Ferretti<br />

(Università di Macerata)<br />

1. La formazione neoscolastica<br />

La mia prima formazione filosofico-teologica si radica nella migliore vulgata neoscolastica,<br />

quale s’insegnava nei seminari diocesani degli anni ’50 del secolo scorso ed<br />

anche nell’Università Cattolica di Milano. All’Università Cattolica del Sacro Cuore entrai<br />

nel 1957, incontrandovi grandi maestri. Certamente anche Cornelio Fabro, che c’insegnava<br />

a leggere direttamente San Tommaso e Kierkagaard, ritenendo di poter interpretare<br />

quest’ultimo in chiave tomistica e manifestando una forte avversione per tutto il corso<br />

della filosofia moderna, giudicata come irrimediabilmente immanentista e quindi implicitamente<br />

o esplicitamente atea. Ma divenni “allievo” soprattutto di Gustavo Bontadini e di<br />

Sofia Vanni Rovighi.<br />

Bontadini dava una lettura diversa del pensiero moderno, ritenendo che il fenomenismo<br />

che lo caratterizza, una volta svelata la contraddizione del “dualismo gnoseologico<br />

presupposto” che gli sta alla base, avrebbe potuto ritrovare l’intenzionalità ontologica del<br />

pensiero, rendendo così nuovamente possibile anche il discorso metafisico. Intenzionalità<br />

che già con l’idealismo era stata implicitamente ricuperata e che la fenomenologia del<br />

novecento aveva espressamente riscoperto. Su tali basi gnoseologiche, che Bontadini sviluppava<br />

in una vera e propria “metafisica dell’esperienza”, egli s’impegnava soprattutto<br />

nella rigorizzazione del discorso metafisico-teologico, affascinandoci con la genialità<br />

delle sue riflessioni. Ancor oggi ritengo che sia difficile superare in rigore il discorso<br />

metafisico bontadiniano, anche se dovetti a poco a poco convincermi che, almeno per<br />

quanto riguarda la problematica religiosa, il punto chiave della contrapposizione e/o del<br />

dialogo con l’ateismo e la non credenza non sta tanto nella rigorosità delle dimostrazioni<br />

razionali dell’esistenza di Dio, quanto piuttosto nel giudizio sul valore antropologico-esistenziale<br />

del concetto di Dio e della fede religiosa.<br />

Quanto alla Vanni Rovighi, essa non s’impegnava in visioni globali del pensiero<br />

moderno, attenta, piuttosto, a cogliere nei vari autori che studiava e ci faceva studiare, con<br />

grande attenzione all’analisi puntuale e massimo rispetto dei testi, l’emergere di una<br />

verità di cui arricchirci e con cui confrontarci. Questo valeva, ad esempio, per San<br />

Tommaso e i filosofi-teologi del sec. XII, come pure per Spinoza, Hume, Kant, Hegel e<br />

soprattutto Husserl, con cui m’aprì allo studio della fenomenologia.<br />

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