Dopo l'Estetica - Università di Palermo
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magine”, <strong>di</strong>stribuii le prime copie del libro appena uscito, suscitando<br />
(ricordo) un certo sconcerto tra alcuni. Ma non presso l’amico Luigi<br />
Russo, che mi invitò a esporre le mie tesi introducendo, il 16 febbraio<br />
dell’anno dopo, il seminario “Estetica, ermeneutica, ontologia” (dove<br />
per l’appunto si trattava <strong>di</strong> mettere in <strong>di</strong>scussione l’identità tra estetica<br />
e filosofia dell’arte). Nulla <strong>di</strong> sorprendente, peraltro, in chi già nell’ottobre<br />
1985 aveva organizzato un seminario intitolato “Aesthetica bina”,<br />
in occasione della e<strong>di</strong>zione italiana delle Me<strong>di</strong>tationes <strong>di</strong> Baumgarten e<br />
della Enquiry <strong>di</strong> Burke, cioè <strong>di</strong> due fonti settecentesche ancora totalmente<br />
estranee alla identificazione tra estetica e filosofia dell’arte. Di<br />
quella “Aesthetica bina” mi sarei ricordato quando, nel 1996, intitolai<br />
“Doppio senso” il primo fascicolo della nuova serie della Rivista <strong>di</strong><br />
Estetica. Il richiamo letterale era però al passo <strong>di</strong> Hegel nell’Estetica:<br />
«Senso è una parola meravigliosa, che è usata con due significati opposti.<br />
Una volta in<strong>di</strong>ca gli organi del cogliere imme<strong>di</strong>ato; l’altra volta,<br />
però, chiamiamo “senso” il significato, il pensiero, l’universale della<br />
cosa».<br />
De te fabula narratur: il doppio senso è quello dell’estetica, sospesa<br />
tra aisthesis e arte. Il compito che sentivo necessario, per ripensare<br />
l’estetica, era proprio riabilitare l’aisthesis sepolta sotto l’arte. Non<br />
perché nelle origini pensassi che ci fosse la verità, ma piuttosto per un<br />
motivo inverso, per una certa depressone suscitata da un mainstream<br />
estetologico ancora larghissimamente addormentato nella convinzione<br />
che l’estetica sia ovviamente filosofia dell’arte. Un crocianesimo tanto<br />
più potente quanto inconscio, perché <strong>di</strong> Croce prendeva non la teoria,<br />
ma l’impianto storiografico e un po’ <strong>di</strong> pregiu<strong>di</strong>zi 1 , senza mai<br />
domandarsi se, per caso, il rischio non fosse <strong>di</strong> aggiungere nuovi titoli<br />
a una lista già conosciuta e compatita da Croce, insofferentissimo <strong>di</strong><br />
«certe Filosofie dell’arte, certe Estetiche, certi Discorsi sulla Poesia,<br />
che professori <strong>di</strong> filosofia generici, bons à tout faire, vengono ora componendo<br />
in Italia».<br />
Estetica razionale<br />
Era sull’onda <strong>di</strong> quella depressione, per l’estetica e più generalmente<br />
per l’ermeneutica in cui ero venuto formandomi, che nei primi<br />
anni Novanta incominciai a cercare un’alternativa 2 e che, alla fine,<br />
mi rinchiusi a leggere, e a scrivere le pagine che, nel 1997, sarebbero<br />
<strong>di</strong>ventate Estetica razionale. Che in effetti è uno degli ultimi libri nati<br />
in una biblioteca reale invece che in una biblioteca <strong>di</strong> Babele, quella<br />
del web, sebbene un certo effetto babelico possa nascere proprio dal<br />
fatto che usavo quella biblioteca reale come se fosse il web. Era la<br />
biblioteca del Philosophisches Seminar <strong>di</strong> Heidelberg. Ne ho ancora<br />
tantissima nostalgia, così come ho nostalgia <strong>di</strong> quella vita completamente<br />
concentrata. Davvero può sembrare retorica, e indubbiamente<br />
in parte lo è, nel senso che ci ritrovo un certo pathos: avevo interrotto<br />
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