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Dopo l'Estetica - Università di Palermo

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venga inficiata l’identità dell’opera. Platonicamente, secondo Wolterstorff,<br />

l’opera è un’entità che esiste eternamente ma che <strong>di</strong>venta musicale<br />

solo quando qualcuno, rinvenendola, ne esplicita le con<strong>di</strong>zioni<br />

<strong>di</strong> correttezza con la notazione. Dunque, resta vero che improvvisare<br />

non è <strong>di</strong> per sé comporre. In questo caso, però, la vincolatezza non è<br />

intenzionale-soggettiva ma grammaticale-obiettiva. Al contrario, a causa<br />

della componente romantica che ancora Elster attribuisce alla creazione,<br />

la determinazione della giustezza della scolpitura dell’assolo, ossia<br />

della sua notazione implicita, è demandata al senso soggettivo della<br />

pienezza del valore emotivo conseguito. Demandata apparentemente<br />

al senso dell’interprete, in realtà al senso del critico o del filosofo (se<br />

si vuole: dell’artista che si trasforma in critico o filosofo), che stabilirà<br />

con questo metro personale dove finisce il processo creativo positivo<br />

e dove, invece, cominciano i deterioramenti in performance successive.<br />

Ancor più <strong>di</strong>stante da Elster è poi il platonismo <strong>di</strong> Peter Kivy, che<br />

ha stigmatizzato l’assimilazione compiuta da Wolterstorff della partitura<br />

a una ricetta. A parere <strong>di</strong> Kivy, la partitura è solo la determinazione<br />

<strong>di</strong> un’esecuzione corretta, non dell’opera 10 , mentre l’improvvisazione,<br />

in quanto esecuzione, è già istanziazione <strong>di</strong> un’opera, prima che ce ne<br />

sia una notazione. Questo perché egli ra<strong>di</strong>calizza l’idea del comporre<br />

come scoprire anziché creare, cosa che pur esigendo una certa componente<br />

<strong>di</strong> invenzione (dei mezzi), non coincide certo con l’invenzione 11 .<br />

In modo ben <strong>di</strong>verso, per Elster l’improvvisazione si risolve nella gestione<br />

intenzionale <strong>di</strong> vincoli autoimposti secondo una <strong>di</strong>namica inferenziale:<br />

«il modo <strong>di</strong> procedere delle prime parti <strong>di</strong> un’opera d’arte<br />

vincola il suo sviluppo successivo. Vale un principio analogo anche<br />

per l’improvvisazione, ma con un giro <strong>di</strong> vite ulteriore» (UL, 362). I<br />

costrutti sonori già eseguiti vengono intesi come una vera e propria<br />

premessa inferenziale rispetto a quanto sta accadendo e deve accadere.<br />

Il sapere relativo a essi deve allora configurarsi come una canonica conoscenza<br />

constatativa, quasi un riscontro fattuale. Il nesso inferenziale<br />

dato per scontato da Elster esige che il contenuto della conoscenza<br />

del pregresso – come insegna Sellars 12 – sia una sorta <strong>di</strong> contenuto<br />

proposizionale <strong>di</strong> cui si ha una vera e propria esperienza epistemica.<br />

In tal senso il sapere dei vincoli della creatività si <strong>di</strong>mostra, infine,<br />

per Elster una “conoscenza che”, la quale è ascrivibile a un soggetto<br />

cartesianamente connotato risultando del tutto omologa al canonico<br />

modello gnoseologico constatativo-proposizionale. L’intera <strong>di</strong>gressione<br />

sul jazz conferma come l’ottica <strong>di</strong> Elster sia anzitutto quella della<br />

gestione soggettiva dei vincoli al fine <strong>di</strong> ridurre le possibilità in sé<br />

frustranti in un regime <strong>di</strong> «penuria <strong>di</strong> scarsità», ovvero l’eccesso <strong>di</strong><br />

possibilità <strong>di</strong> scelta. La «concezione ra<strong>di</strong>calmente soggettivistica della<br />

razionalità» <strong>di</strong> cui è alfiere Elster (UL, 254) è una legittimazione intellettualistica<br />

della concezione emotivista, residuale, dell’arte. E non<br />

è un caso che egli avvii il capitolo paragonando l’arte all’esperienza<br />

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