Dopo l'Estetica - Università di Palermo
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d’appoggio <strong>di</strong> ogni estetica degna <strong>di</strong> questo nome. Ci sono momenti in<br />
cui le opere <strong>di</strong>ventano i nostri maestri e ci tolgono letteralmente il respiro;<br />
e ci sono momenti in cui possiamo evocarle a titolo illustrativo,<br />
pur sapendo che il loro valore va ben al <strong>di</strong> là dell’uso che ne facciamo.<br />
Atto estetico e atto artistico<br />
Per essere artista o per essere poeti non è sufficiente volerlo essere.<br />
Perché il celebre Presidente Schreber non merita il nome <strong>di</strong> poeta?<br />
Perché le sue memorie, pur così interessanti, non sono un’opera d’arte?<br />
Jacques Lacan (ancora prima del filosofo analitico Nelson Goodman)<br />
sostituisce alla domanda «Che cos’è la poesia?» la domanda «Quando<br />
c’è poesia?». E risponde: «C’è poesia ogni volta che uno scritto ci introduce<br />
in un mondo altro dal nostro e, offrendoci la presenza <strong>di</strong> un<br />
essere, <strong>di</strong> un certo rapporto fondamentale lo fa <strong>di</strong>ventare [...] il nostro.<br />
[...] La poesia è la creazione <strong>di</strong> un soggetto che assume un nuovo or<strong>di</strong>ne<br />
<strong>di</strong> relazione simbolica con il mondo» 17 .<br />
Lacan introduce allora un concetto filosofico che mi sembra estremamente<br />
fecondo (ed è un peccato che egli non l’abbia poi ulteriormente<br />
sviluppato): il concetto <strong>di</strong> “significante nel reale”, che si contrappone<br />
all’allucinazione e, insieme, alla pura in<strong>di</strong>cazione. Schreber non<br />
crede alla realtà della sua allucinazione: conosce il valore psichiatrico <strong>di</strong><br />
“allucinazione”, ma questo non gl’impe<strong>di</strong>sce <strong>di</strong> avere allucinazioni. Non<br />
si tratta <strong>di</strong> realtà, ma <strong>di</strong> certezza. E il testimone può solo constatare<br />
questa certezza, senza poterla con<strong>di</strong>videre. Come attingere alla realtà?<br />
Come incontrare il fenomeno del mondo? Occorre che il significante<br />
si produca nel reale. Lacan fa l’esempio della pace della sera e osserva:<br />
«C’è un certo modo <strong>di</strong> prendere un momento della sera; un modo cui<br />
possiamo essere chiusi o aperti» 18 .<br />
Ebbene: Lacan ha evocato con accenti davvero suggestivi l’ancoraggio<br />
del significante nel reale, ma non ne ha stu<strong>di</strong>ato le con<strong>di</strong>zioni<br />
propriamente estetiche. Per quale ragione e con quale forma quello<br />
che potrebbe restare un sintagma come un altro – la “pace della sera”<br />
– prende senso e consistenza? Perché la “pace della sera” <strong>di</strong>venta l’emblema<br />
<strong>di</strong> un’esperienza con<strong>di</strong>visa e con<strong>di</strong>visibile in quell’estetica in<strong>di</strong>ssolubilmente<br />
teorica e pratica che qui noi auspichiamo?<br />
La pace della sera<br />
Avevo custo<strong>di</strong>to in un cantuccio della mia memoria quanto <strong>di</strong>ceva<br />
Lacan. Ma mi occorse molto tempo prima <strong>di</strong> poterlo concretamente<br />
verificare. Mi accadde nel corso <strong>di</strong> una singolare esperienza in compagnia<br />
<strong>di</strong> due amici siciliani: un’esperienza ben datata e ben localizzata e<br />
tale che, in seguito, non ho più potuto riviverla con una pari intensità.<br />
La rievocherò rapidamante, a mo’ <strong>di</strong> conclusione, perché mi sembra<br />
che se ne possa trarre un insegnamento <strong>di</strong> portata generale. Era il<br />
29 aprile del 2005, a Siracusa, sul finire <strong>di</strong> una giornata impegnativa,<br />
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