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Dopo l'Estetica - Università di Palermo

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tempo erano già all’opera nella definizione implicita <strong>di</strong> ciò che chiamiamo<br />

“arte”. Ci si potrebbe chiedere: da quanto tempo? Una prima<br />

risposta sarebbe questa: dall’inizio della lenta trasformazione che ha<br />

condotto le immagini a emanciparsi dalla con<strong>di</strong>zione magica che le<br />

in<strong>di</strong>stingueva dal mondo per arrivare a farsi percepire – e interpretare<br />

– come qualcosa che, benché sia parte del mondo, non<strong>di</strong>meno al<br />

mondo si contrappone al fine <strong>di</strong> essere a-proposito-del mondo, cioè al<br />

fine <strong>di</strong> rappresentarlo 16 . Ora, il punto da considerare decisivo è qui il<br />

seguente: se è vero che un tale processo ha richiesto, fin dall’inizio, il<br />

requisito <strong>di</strong> un’autoconsapevolezza riflessiva, quand’anche aurorale, è<br />

anche vero che questo requisito viene in chiaro e si afferma solo nella<br />

modernità, quando il concetto <strong>di</strong> rappresentazione perde ogni residua<br />

<strong>di</strong>pendenza dal modello mimetico antico. La domanda va dunque riproposta.<br />

Da quanto tempo? Dalla nascita, <strong>di</strong>ciamo, <strong>di</strong> un soggetto<br />

che ‘si sa’ nel mondo sapendo, al tempo stesso, <strong>di</strong> esserne altrettanto<br />

intimamente <strong>di</strong>stanziato per il fatto <strong>di</strong> poterselo rappresentare. È in<br />

questo ambito, pertanto, e solo in questo, che può avere autenticamente<br />

inizio il processo riflessivo che conduce fino al gesto <strong>di</strong>ssacrante<br />

(ma infine preve<strong>di</strong>bile, cioè storicamente intelligibile) <strong>di</strong> Duchamp, che<br />

consiste nell’estendere l’or<strong>di</strong>ne del rappresentativo fino a includervi<br />

senz’altro una cosa in carne ed ossa. In tal senso, infine, l’arte si lascia<br />

interpretare, senza alcun bisogno <strong>di</strong> ricorrere al soccorso <strong>di</strong> qualità<br />

sensibili, e anzi proprio per il fatto <strong>di</strong> poterne prescindere, come una<br />

pratica autoriflessiva che ha per oggetto la libera esplorazione delle<br />

possibilità e dei limiti del rappresentare. Ma se l’esplorazione è libera,<br />

se essa non ha altra finalità che quella <strong>di</strong> autoesibirsi in quanto tale<br />

(se è “fine a se stessa” e “<strong>di</strong>sinteressata” si potrebbe anche <strong>di</strong>re) allora<br />

ciò significa che il processo storico che interessa Danto richiede non<br />

solo un soggetto rappresentativo (“cartesiano”, per usare una formula<br />

canonica), ma anche un soggetto che ha già <strong>di</strong>fferenziato dal mondo<br />

della praxis il territorio delimitato, per quanto ampio, in cui si produce<br />

l’esperienza artistica in quanto tale.<br />

Il ragionamento <strong>di</strong> Danto presuppone dunque l’istituzione <strong>di</strong> un<br />

ambito <strong>di</strong> “<strong>di</strong>fferenziazione” che appare storicamente con<strong>di</strong>zionante<br />

quanto quello che Gadamer colloca al centro della sua critica. Solo<br />

che mentre Gadamer lo interpreta (per decostruirlo) come il territorio<br />

dell’apprezzamento della pura qualità estetica, Danto vi coglie (per legittimarlo)<br />

l’insorgere caratterizzante <strong>di</strong> un’esplicita autoconsapevolezza<br />

riflessiva e an-estetica. Da quest’ultimo punto <strong>di</strong> vista, l’arte è tale in<br />

quanto riflette (come una specie <strong>di</strong> filosofia, <strong>di</strong>ce spesso Danto) sulla<br />

sua natura rappresentativa e dunque bisogna innanzitutto che chiunque<br />

la incontri sia parimenti cosciente <strong>di</strong> questo tratto autoriflessivo.<br />

È così che si costituisce un “Artworld”: come l’ambito specifico <strong>di</strong> ciò<br />

che, parafrasando Gadamer, potremmo ora chiamare una “coscienza<br />

artistica” che delle opere d’arte è in grado <strong>di</strong> cogliere, prima ancora<br />

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