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Dopo l'Estetica - Università di Palermo

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nome e il concetto <strong>di</strong> “estetica” (stricto sensu, ossia come teoria delle<br />

sensazioni) come un tranello pericoloso. Valga per tutti l’esempio <strong>di</strong><br />

un filosofo come Arthur Danto, del quale basterà vedere la prefazione<br />

all’opera teorica più importante, La trasfigurazione del banale (1982).<br />

Danto è fermamente convinto che quel che vale la pena costruire è<br />

una filosofia dell’arte, e per <strong>di</strong> più una filosofia dell’arte che rinuncia<br />

a considerare necessari per l’opera d’arte proprio gli aspetti “estetici”,<br />

cioè sensibili, quelli che possiamo vedere o u<strong>di</strong>re, dato che a fare l’opera<br />

d’arte è in primo luogo quel che sappiamo, non quel che sentiamo.<br />

Tutto il resto, cioè le sensazioni piacevoli, e in particolare quella<br />

speciale forma <strong>di</strong> piacevole che chiamiamo bellezza, riguardano l’arte<br />

<strong>di</strong> massa, il cattivo gusto, la vita quoti<strong>di</strong>ana ed è evidente che Danto<br />

dubita che da questo coacervo si possa ricavare qualcosa <strong>di</strong> filosoficamente<br />

interessante 2 . Sembra rivivere qui la <strong>di</strong>ffidenza nei confronti<br />

dell’estetica che si era fatta strada tra i teorici della cosiddetta Pura Visibilità,<br />

per i quali la filosofia dell’arte era un terreno solido, sul quale<br />

si poteva costruire qualcosa, in quanto andava ben oltre la mera sfera<br />

sensibile, mentre l’estetica, come campo incerto e sempre opinabile<br />

delle preferenze sensoriali soggettive, finiva per essere messa da parte<br />

in quanto incapace <strong>di</strong> decantarsi veramente a scienza. L’opposizione<br />

tra Aesthetik e Allgemeine Kunstwissenschaft teorizzata da Emil Utitz e<br />

Max Dessoir in fondo non faceva che ra<strong>di</strong>calizzare questa opposizione,<br />

sicché l’estetica come scienza della sensibilità era ridotta ad asylum <strong>di</strong><br />

tutte quelle cose che ci piacciono senza che si possa <strong>di</strong>re perché.<br />

Ma se si lascia il campo della filosofia analitica e ci si sposta in<br />

quello della filosofia europea continentale, non tar<strong>di</strong>amo molto ad accorgerci<br />

che il rapporto tra estetica come filosofia dell’arte ed estetica<br />

come teoria della sensibilità si inverte quasi specularmente, nel senso<br />

che è l’idea dell’estetica come filosofia della sensibilità o teoria della<br />

percezione sensibile ad essere dominante e, agli occhi <strong>di</strong> molti, a costituire<br />

l’unica via praticabile per la <strong>di</strong>sciplina. Questo ritorno in forze<br />

del significato baumgarteniano dell’estetica ha avuto i suoi prodromi<br />

negli anni Ottanta del Novecento, probabilmente in relazione alla crisi<br />

delle estetiche strutturalistiche e semiotiche, che per un paio <strong>di</strong> decenni<br />

avevano tenuto banco. Per esempio Emilio Garroni, a partire da<br />

Senso e paradosso, del 1986 3 , ha sostenuto che l’estetica non può essere<br />

una filosofia dell’arte (l’arte è qualcosa <strong>di</strong> troppo vario, mutevole,<br />

indefinibile perché si possa circoscriverla), ma piuttosto una filosofia<br />

del senso, cioè <strong>di</strong> una con<strong>di</strong>zione sentita e non appresa intellettualmente,<br />

del nostro conoscere in genere. In questa determinazione agiva<br />

un poco l’ambiguità del termine “senso”, che già Hegel tematizzava<br />

nelle sue lezioni <strong>di</strong> estetica: “senso” è una parola ancipite, dato che<br />

in<strong>di</strong>ca insieme l’organo della esperienza sensibile (“il senso del tatto,<br />

il senso della vista ecc.”), e il significato o il valore <strong>di</strong> qualcosa (“dare<br />

un senso a questa storia”) 4 . In altre parole, per Garroni non si poteva<br />

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