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Dopo l'Estetica - Università di Palermo

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in una con<strong>di</strong>zione ontologica dell’esperienza estetica si presenta come<br />

irrime<strong>di</strong>abilmente problematico: a ben vedere, infatti, la formazione<br />

del concetto <strong>di</strong> “autonomia estetica” non è affatto autonoma.<br />

Come mostra proprio la Dialettica dell’illuminismo, c’è qui un paradosso<br />

insuperabile: una concezione dell’arte basata appunto sull’autonomia<br />

esprime, nell’età della borghesia liberale, la più alta forma strumentalizzata,<br />

vale a <strong>di</strong>re prodotta dalla ragione strumentale, <strong>di</strong> un’esperienza,<br />

quale quella estetica, che non è strumentalizzata. Questo significa che<br />

tale concetto <strong>di</strong> autonomia si è formato sia grazie alla logica strumentale<br />

della razionalità borghese, e insieme grazie alla logica capitalistica della<br />

produzione <strong>di</strong> merci, sia in opposizione a essa. È dunque un’estetica<br />

dell’autonomia così intesa che ha reso possibile il passaggio, del quale<br />

parla Walter Benjamin nel saggio L’opera d’arte nell’epoca della sua<br />

riproducibilità tecnica (1936), dal valore cultuale a quel valore espositivo<br />

dell’opera d’arte che è strettamente connesso alla mercificazione <strong>di</strong><br />

quest’ultima. Non a caso lo stesso Adorno, nella Teoria estetica, sostiene<br />

che l’autonomia artistica può essere garantita, paradossalmente, soltanto<br />

dal consapevole farsi merce dell’opera d’arte.<br />

Ma, al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> un’autonomia dell’opera che implica appunto la sua<br />

struttura <strong>di</strong> merce, secondo Adorno l’autonomia, oggi, è relativa soltanto<br />

alla forma, il cui tratto <strong>di</strong>stintivo è quello <strong>di</strong> <strong>di</strong>re e <strong>di</strong>s<strong>di</strong>re contemporaneamente:<br />

solo così l’opera può evitare <strong>di</strong> cadere all’interno<br />

dell’industria culturale. A ben vedere, invece, è proprio in contrasto<br />

a una tale estetica dell’autonomia che sorgono, negli anni Venti, sia<br />

quei movimenti dell’avanguar<strong>di</strong>a che hanno lo scopo <strong>di</strong> integrare arte e<br />

vita, sia un’estetica della riproduzione tecnica alla quale faranno seguito<br />

nel dopoguerra, come s’è detto, l’industria culturale e la società dello<br />

spettacolo. Il rifiuto dell’autonomia dell’opera d’arte caratterizza sia<br />

alcune delle avanguar<strong>di</strong>e storiche, sia soprattutto le neo-avanguar<strong>di</strong>e<br />

della seconda metà del Novecento, come la Pop Art e il Minimalismo.<br />

Tuttavia, nei due casi, il rapporto arte-vita appare invertito: se infatti<br />

Marcel Duchamp, e con lui il Dadaismo, porta l’oggetto della vita quoti<strong>di</strong>ana<br />

nel contesto artistico, al contrario la Pop Art e il Minimalismo<br />

portano l’azione-installazione artistica nel contesto quoti<strong>di</strong>ano, nell’intento<br />

<strong>di</strong> creare una sorta <strong>di</strong> cortocircuito tra la finzione e la realtà, e<br />

quin<strong>di</strong> tra l’arte e la vita.<br />

Comunque, la per<strong>di</strong>ta della <strong>di</strong>fferenza tra arte e realtà, ossia tra<br />

oggetto artistico e oggetto comune, con la conseguente rinuncia alla<br />

forma artistica e quin<strong>di</strong> alla sua autonomia, sono caratteristiche che<br />

giungono all’arte attuale proprio attraverso la me<strong>di</strong>azione delle neoavanguar<strong>di</strong>e<br />

della seconda metà del Novecento e, insieme, attraverso<br />

l’industria culturale. Non a caso, i mass me<strong>di</strong>a, sempre più nel passaggio<br />

dal secolo scorso a quello attuale, si sono appropriati delle tecniche<br />

delle neo-avanguar<strong>di</strong>e. Le stesse provocazioni artistiche rientrano nel<br />

circuito commerciale, essendo inserite in una <strong>di</strong>mensione <strong>di</strong> spettaco-<br />

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