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Dopo l'Estetica - Università di Palermo

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della produzione è, nel suo lato privato, in<strong>di</strong>fferente. Esso ha però anche un lato obiettivo,<br />

in quanto con<strong>di</strong>zione del realizzarsi della legalità immanente. Come lavoro, non come comunicazione,<br />

il soggetto raggiunge nell’arte quel che gli spetta. L’opera d’arte deve ambire<br />

all’equilibrio senza esserne completamente padrona: un aspetto del carattere d’apparenza<br />

estetico. Il singolo artista funge da organo esecutivo anche <strong>di</strong> quell’equilibrio. Nel processo<br />

<strong>di</strong> produzione egli si vede <strong>di</strong> fronte a un compito <strong>di</strong> cui riesce <strong>di</strong>fficile <strong>di</strong>re se lui anche<br />

semplicemente se l’è posto; il blocco <strong>di</strong> marmo, i tasti del pianoforte, in cui una scultura, una<br />

composizione, aspettano <strong>di</strong> venire liberati, sono per quel compito probabilmente più che metafore.<br />

I compiti portano in sé la propria soluzione obiettiva, almeno entro una certa gamma<br />

<strong>di</strong> variazioni, anche se non possiedono l’univocità delle equazioni. La Tathandlung dell’artista<br />

consiste nel fatto minino <strong>di</strong> me<strong>di</strong>are tra il problema <strong>di</strong> fronte a cui egli si vede, <strong>di</strong> per sé già<br />

predelineato, e la soluzione che si trova nel materiale in modo altrettanto potenziale. Come<br />

si è chiamato lo strumento un braccio prolungato, così si potrebbe chiamare l’artista uno<br />

strumento prolungato, uno strumento del passaggio dalla potenzialità all’attualità». In sintesi,<br />

«nella tastiera <strong>di</strong> ogni pianoforte c’è tutta l’Appassionata, il compositore deve solo trarla fuori,<br />

e per questo naturalmente c’è bisogno <strong>di</strong> Beethoven» (cfr. T. W. Adorno, Teoria estetica, a<br />

cura <strong>di</strong> F. Desideri e G. Matteucci, Einau<strong>di</strong>, Torino, 2008, p. 223 e p. 365).<br />

12 Cfr. anzitutto W. Sellars, Empiricism and the Philosophy of Mind (1965), trad. it.:<br />

Empirismo e filosofia della mente, Einau<strong>di</strong>, Torino, 2004.<br />

13 Ciò esclude dal novero dell’artisticità fenomeni come la randomizzazione pura, sperimentata<br />

clamorosamente da John Cage. Un conto, argomenta Elster, è l’impressione <strong>di</strong><br />

casualità, sempre a rischio <strong>di</strong> frustrazione (UL, 343); un altro è la casualità schietta, che<br />

esclude la gestione dei vincoli, e per ciò stesso non è creativa: «eliminando la scelta, anziché<br />

limitandola, non si accresce la creatività. La si <strong>di</strong>strugge» (UL, 345).<br />

14 L. Wittgenstein, Pensieri <strong>di</strong>versi, a cura <strong>di</strong> M. Ranchetti, Adelphi, Milano, 1980, p. 130.<br />

15 Nel corso della sua argomentazione Elster fa riferimento alla descrizione marxiana<br />

della <strong>di</strong>alettica delle forze <strong>di</strong> produzione per spiegare l’esaurimento della forza <strong>di</strong> un vincolo,<br />

non per stagnazione ma per subottimalità (UL, 316-18). Potrebbe essere un utile spunto per<br />

questo confronto, sebbene Elster tralasci il nesso delle forze produttive con i rapporti <strong>di</strong><br />

produzione, e la sua <strong>di</strong>venti così solo una metafora.<br />

16 P. Bour<strong>di</strong>eu, Mé<strong>di</strong>tations pascaliennes (1997), trad. it.: Me<strong>di</strong>tazioni pascaliane, a cura<br />

<strong>di</strong> A. Serra, Feltrinelli, Milano, 1998, pp. 146-147. Ovviamente Bour<strong>di</strong>eu fa riferimento a<br />

opere precedenti <strong>di</strong> Elster, in cui però l’impianto non è <strong>di</strong>fferente, per quel che qui interessa,<br />

rispetto a UL. – Per la critica a Elster cfr. anche P. Bour<strong>di</strong>eu, Le sens pratique (1980), trad.<br />

it.: Il senso pratico, Armando, Roma, 2005, pp. 75-77.<br />

17 P. Bour<strong>di</strong>eu, Me<strong>di</strong>tazioni pascaliane, cit., p. 146.<br />

18 Con attenzione al piano percettivo, ha esplorato questo territorio Fabrizio Desideri, <strong>di</strong><br />

cui cfr. Della libertà nel vincolo (in Il vincolo, Cortina, Milano, 2006, pp. 41-60) e Estetica e<br />

meta-estetica: vincoli percettivi, gra<strong>di</strong> <strong>di</strong> libertà, anticipazioni cognitive (in Il fatto estetico. Tra<br />

emozione e cognizione, Ets, Pisa, 2009, pp. 29-43).<br />

19 Converge su ciò il rilievo <strong>di</strong> Joseph Margolis della mo<strong>di</strong>ficabilità <strong>di</strong> campo della realtà<br />

contestuale, in virtù del suo carattere <strong>di</strong> natura storicizzata, e quin<strong>di</strong> del carattere “horizonal”<br />

del pensiero. Cfr. J. Margolis, Historied Thought, Constructed World, University of California<br />

Press, Berkeley, 1995, in particolare p. 166.<br />

20 Il riferimento è a G. Ryle, The Concept of Mind (1949), trad. it.: Il concetto <strong>di</strong> mente,<br />

Laterza, Roma-Bari, 2007. Lo stesso Bour<strong>di</strong>eu (Me<strong>di</strong>tazioni pascaliane, cit., p. 156) suggerisce<br />

questo collegamento, benché forse in modo eccessivamente rapso<strong>di</strong>co.<br />

21 G. Ryle, Il concetto <strong>di</strong> mente, cit., p. 37. “Sapere come” e “sapere che” rispondono<br />

a due domande <strong>di</strong>fferenti. La prima è l’estetico-pratico chiedersi come si fa per compiere<br />

un’azione (wonder how); la seconda è il gnoseologico-teoretico chiedersi com’è che qualcosa<br />

è ciò che è (wonder whether). Lo rileva puntualmente Ryle, ivi, p. 23 (dove la trad. it. rende<br />

seccamente wonder how con “chiedersi come” e wonder whether con “chiedersi se”).<br />

22 P. Picasso, Scritti, a cura <strong>di</strong> M. De Micheli, SE, Milano, 1998, p. 11 (e cfr. pp. 16 e 19).<br />

23 A questa canonizzazione in ambito estetico-artistico Bour<strong>di</strong>eu ha de<strong>di</strong>cato una ricca<br />

analisi in Les régles de l’art (1992), trad. it.: Le regole dell’arte, a cura <strong>di</strong> A. Boschetti, Il<br />

Saggiatore, Milano, 2005. Di questo volume bisognerebbe almeno tenere presente, volendo<br />

vagliare le prospettive <strong>di</strong> un’estetica dopo la filosofia dell’arte, la parte sul Comprendere il<br />

comprendere (pp. 369-418).<br />

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